mercoledì 25 novembre 2009

Barcellona, frittate e fatti incresciosi

Nella notte tra Venerdì 20 e Sabato 21 Novembre, la sede di Rifondazione Comunista, circolo “Ottobre Rosso” di Barcellona ha subito un attentato nel corso del quale ignoti hanno cercato di forzare la porta d’ingresso, e non riuscendoci hanno lanciato uova marce sulla soglia. E’ l’ennesimo atto vandalico che la sede o i simboli del Circolo subiscono. Solamente il giorno prima le stesse uova, lanciate forse dalle stesse persone, colpivano Piazza Beppe Alfano (ex Piazza Trento), con minacce all’indirizzo dei ragazzi che la frequentano, i quali hanno chiamato in aiuto i Carabinieri. Il pur tardivo arrivo delle forze dell’Ordine ha messo in fuga gli assalitori, che stavano diventando più violenti e rischiavano di diventare seriamente pericolosi per le vittime, la cui età media si aggira intorno ai 16 anni. Quello che sorge spontaneo chiedersi è perché a Barcellona un gruppo di ragazzi debba privarsi di frequentare liberamente i già scarsi luoghi di ritrovo cittadini, poiché si trovano in balia di delinquenti a vario titolo, senza alcun genere di tutela da parte del potere costituito. Io chiedo all’Amministrazione e alle Forze dell’Ordine di difendere certe realtà, che, per quanto possano essere politicamente scomode,rappresentano le uniche dimensioni di civiltà e solidarietà in un Comune nel quale, purtroppo, dilagano l’emarginazione sociale e l’unico modello ritenuto “vincente”, ossia quello mafioso- delinquenziale. Mi domando se davvero non vi provoca vergogna il non dare risposta alcuna a una situazione che degenera ogni minuto e in cui la parola “legge” è tabù. Ritengo sia un diritto, per chi si discosta da certi falsi modelli ed anti-valori,vedersi garantita un’esistenza libera e serena in una dimensione di legalità. Dico questo, sperando che gli accadimenti di cui parlo facciano riflettere l’Amministrazione e la cittadinanza tutta sull’emergenza e sulla necessità di promuovere battaglie sociali e culturali che invertano certe tendenze di cui questi fatti sono piccoli ma allarmanti segnali.

da Barcellona Comunista

mercoledì 18 novembre 2009

Adolfo Parmaliana: il suicidio di un democratico tradito dalla politica

Adolfo Parmaliana adorava la famiglia, la Juve, Berlinguer, l'idrogeno, il risotto di mare, gli studenti, Benigni. Voleva una vita d'impegno, di battaglie, di polemiche, di arrivi in salita. A poco più di cinquant'anni Adolfo Prmaliana si è dimesso dalla vita dopo essersi dimesso dall'essere prima italiano e poi siciliano. L'ottobre di un anno addietro si è lanciato dal viadotto di Patti Marina lasciando dietro di sè una terribile lettera d'accusa e lo sgomento dei tanti increduli che a compiere un simili atto fosse stato il cantore della gioia di vivere. E anche se in questa storia ufficialmente non esistono colpevoli, il suicidio del professore di Chimica industriale, molto più apprezzato e amato all'estero che nella sua terra, pesa peggio di un omicidio sulle coscienze di coloro che l'hanno perseguitato. Ma costoro ce l'hanno una coscienza?
Adolfo Parmaliana credeva nell'onestà dei siciliani, credeva che gli amministratori pubblici avessero quale scopo primario il benessere dei cittadini, credeva che i magistrati e i giudici vincessero il concorso per contrastare il Male e far trionfare il Bene. Adolfo Parmaliana credeva che fosse importante combattere per le proprie idee. Nel messaggio d'addio ha scritto: "Ho trascorso trent'anni bellissimi dentro l'università innamorato ed entusiasta della mia attività di docente universitario e di ricercatore. I progetti di ricerca, la ricerca del nuovo, erano la mia vita. Quanti giovani studenti ho condotto alla laurea. Quanti ricordi. Ora un clan mi ha voluto togliere le cose più belle: la felicità, la gioia di vivere, la mia famiglia, la voglia di fare, la forza per guardare avanti. Mi sento un uomo finito, distrutto".
Il clan che l'ha chiuso nell'angolo, che l'ha condotto alla disperazione non è un clan mafioso. E' peggio. E' il Pus, il Partito unico siciliano, in grado di amalgamare gli interessi più disparati dalla destra alla sinistra. Lo compongono i cinquanta cognomi e i diei nomi, che attraverso i secolo hanno sempre mirato al tornaconto personale, agghindato da nobili propositi. Per raggiungerlo hanno baciato ogni culo disponibile, hanno tradito ogni causa, hanno calpestato ogni ideale. Il Pus vince sempre. Sotto le ali della massoneria e della mafia mette insieme e amalgama politici all'apparenza inappuntabili, imprenditori arricchitisi con le concessioni statali e regionali, giudici e magistrati addobbati da sacerdoti del Diritto, eleganti amministratori delegati di banche. I nemici definivano Parmaliana un pericoloso eversore, ma lui di faceva fotografare con il libro di Alberoni tra le mani, lui per trent'anni si è presentato ogni giorno all'università in giacca e cravatta. Parmaliana era un borghese imbottito di belle letture e di preziosi insegnamenti. Si era acceso prima per il Pci, poi per il Pds, infine per i Ds. Quando è nato il Pd se n'è andato in punta di piedi, stanco di esser ignorato, deriso, umiliato. Le sue lettere a Fassino, a Veltroni mai hanno ricevuto una risposta. I settori della sinistra siciliano l'hanno avversato come mai si sono sognati di fare con Cuffaro e con Lombardo. Nel suo studio ha, però, continuato a campeggiare la gigantografia di Enrico Berlinguer. A rovinare Parmaliana è stato lo scioglimento per infiltrazioni mafiose della giunta del suo comune, Terme Vigliatore, a uno sputo da Barcellona Pozzo di Gotto, non a caso definita la Corleone del nuovo millennio, zeppa di logge ufficiali e coperte. Il provvedimento assunto da Ciampi e Pisanu nel dicembre 2005 fu la conseguenza delle decine di denunce formulate negli anni da Parmaliana. Gliel'hanno giurata. Nel grottesco silenzio delle Procure l'unico a rimediare una denuncia è stato Parmaliana, imputato di aver diffamato il vicesindaco di Terme mandato a casa assieme agli altri da Ciampi e Pisanu.
Ecco, allora, il tremendo atto d'accusa di Parmaliana:"La magistratura barcellonese-messinese vorrebe mettermi alla gogna, vorrebbe umiliarmi, delegittimarmi; mi sta dando la caccia perchè ho osato fare il mio dovere di cittadino denunciando il malaffare, la mafia, le convivenze, le coperture e le complicità di rappresentanti dello Stato corrotti e deviati. Non posso consentire a questi soggetti di offendere la mia dignità di uomo, di padre, di marito, di servitore dello Stato e docente universitario... Hanno deciso di schiacciarmi, di annientarmi". E attualmente i tre personaggi più rappresentativi di Messina sono di Barcellona e tutti e tre iscritti alla stessa ssociazione, Corda Fratres: il sindaco Peppino Buzzanca, il procuratore generale Franco Cassata, il vicepresidente del Senato Domenico Nania.

Alfio Caruso
Il Fatto Quotidiano
18.10.2009

domenica 15 novembre 2009

domenica 8 novembre 2009

Ubi sunt meae scarpettae rubrae de Prada?

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giovedì 5 novembre 2009

Flavio Oreglio - Caro Silvio ti scrivo

Caro Silvio, ti scrivo questa mia perché come sai gli italiani ti vogliono bene, e io, in quanto italiano non sono da meno. Ho seguito le tue vicissitudini fin dai tuoi esordi (pensa che da adolescente con i miei amici giravo col motorino per le vie di Milano 2 in costruzione! Non si poteva entrare, ma noi entravamo lo stesso...lo dico perchè so che apprezzi questo atteggiamento di disprezzo delle regole) e adesso, vedendo quello che ti succede ne soffro e perciò mi permetto di darti un consiglio. Perchè non ti ritiri, Silvio? L'hanno fatto tutti, da Cincinnato a Napoleone, da Carlo Alberto di Savoia a Giolitti, da MAcario a Bush...Hanno smesso anche Van Basten, Gullit e Rijkaard! Nessuno è eterno, a parte il debito pubblico. Vai a vivere in campagna, Silvio, lontano dallo stress di una lotta senza tregua e senza quartierino. Ma chi te lo fa fare di stare li a patire le angherie, le prepotenze, i soprusi e le vessazioni di personaggi incattiviti come i magistrati rossi che ti perseguitano, i politici vermigli dell'opposizione che ti attaccano, gli ambienti cattolici carmini che ti sono ostili, il Vaticano purpureo che non ti vede di buon occhio, i parlamentari scarlatti di Strasburgo che ti deridono, i comici fulvi che ti mettono in ridicolo, i giornalisti faziosi e cremisi che ti aggrediscono? Inutile negarlo, sei circondato dai comunisti...Ascolta quello che ti suggerisco: tu ti ritiri a vita privata e passi le tue giornate con il tuo amico Putin che (visto l'amore che nutri per lui), evidentemente col comunismo non ha mai avuto niente a che fare. Ritirati. Ascolta il consiglio di un italiano che ti vuole bene. E' lo stesso consiglio che darei a mio nonno. Ormai hai superato la settantina: goditi la vita! Pensa: hai da parte qualche soldino che hai risparmiato a fatica, hai una casetta, che anche se non è piccolina e non è in Canadà, ha escort, pesciolini e tanti fiori di lillà, hai dei figli che ti vogliono bene, una moglie che ti adora, tanti amici disinteressati...Pensa che bello, non avere più pensieri! Ti alzerai alla mattina, uscirai di casa, supererai il cancello e via! Al circolino del centro anziani! Questa si che sarebbe vita! Finalmente libero! Come BAresi! Come Beckembauer! Come Provenzano fino all'11 aprile del 2006. Già ti vedo, vecchia canaglia: arrivi al circolo e ti lamenti perché servono quantitativi industriali di "rosso". La cosa non ti và. Allora, recuperando fondi da "non si sa bene dove", organizzi una società la "Anzianinvest" e ti metti a capo di essa. Con questa struttura modifichi le regole del gioco a tuo piacimento: qualche euro al barista perché ti tenga da parte il tuo amaro preferito (il "Vecchio Amaro del Capo", ovviamente)...Un favore al responsabile del gioco delle bocce perché dipinga su ogni palla il faccione di Prodi per aumentare il piacere di una raffa al volo...Un accordo sottobanco con la responsabile del COmune perché ti permetta di portare al circolo i giornalini porno...e così via. E poi si vive...Una briscola con gli amici (non proporre - anche se ti piace - "rubamazzetto" perché nessuno vorrà giocare con un professionista) un bianchino, una chiacchierata in compagnia per discutere di calcio, parlare di politica, incazzarti col governo, ragionare su inps e pensione...E poi, nel weekend arriveranno i vecchi amici a trovarti...Galliani con le arance, i cioccolatini e Ronaldinho, Apicella con la chitarra e una pizza, per ricordarti che Napoli ti è sempre grata, Bossi accompagnato da Borghezio e Calderoli vestiti da Asterix e Obelix, con la provetta per gli esami delle urine presa per sbaglio al posto di un'ampolla di acqua del Po, Bondi che ti porterà in visione una prima bozza del suo personale "Cinque maggio" a te dedicato, Brunetta che approfitterà della visita per fare le pulci a quei mangiapane a tradimento, parassiti del sistema, sanguisughe dello stato, fannulloni incapaci e buoni a nulla che dirigono i circolini della terza età pagati con i soldi dei contribuenti, Belpietro con la fotocopia della prima pagina dell'ultimo numero di Libero titolata "Gli anziani sono il futuro del paese, troviamone uno adatto a governarci. io un'idea ce l'avrei", Feltri con il Giornale dal titolo "Anch'io", Angelino Alfano che ti porterà le bozze del suo ultimo libro "Chi si loda s'imbroda", e così via...Non sarai mai solo, nessuno ti dimenticherà. Non è possibile. Passata la mattina, nel primo pomeriggio dopo una pennichella rilassante passerai il tempo in compagnia della tv e dei programmi di intrattenimento adatti alla tua età...Belle canzoni di una volta e magnifici balletti di ringhiera...E poi, vuoi mettere? Grazie al cellulare potrai partecipare ae dire la tua col televoto! E' così che ci si sente protagonisti nell'Italia che hai costruito! Poi alla sera un bel brodino e dopo Annozero tutti a nanna! Non è male. Pensaci. Tu saresti a posto. E noi anche.

mercoledì 4 novembre 2009

Excrucior.

La Corte Europea vieta il crocifisso nelle scuole.
Strali da ogni parte, politica, religiosa, laica, sociale.
All'insigne vaticanista che afferma che il significato del crocifisso non è da riferirsi solo alla religione cristiana, ma di fratellanza e amore di Dio vorrei far notare che non di un dio in generale si parla, ma di un dio in particolare. Il dio del vaticano, il dio dei cristiani.
Ma io, che non sono cristiano e che ai miei figli voglio evitare l'imposizione ideologica di una religione, cosa penso quando entro in una classe di qualsiasi scuola o in un ufficio della pubblica amministrazione, dentro i quali luoghi si sfoggia sulle pareti un crocifisso, magari accanto ad una figurina da album di Padre Pio e ad un calendario di Frate Indovino?
Penso che davvero religione è superstizione, e penso che per quelle persone che ostentano tali simboli non ci sarebbe alcuna differenza se al posto di un crocifisso ci fossero dei peperoncini rossi o dei cornetti o corna di vecchio stampo napoletano.
E penso che mio figlio, entrando in classe vergine di qualsiasi racconto cristiano, non riconoscerà quel crocifisso come simbolo. Per lui, come per me, si tratterà solo di vedere appeso ad un muro un uomo appeso ad una croce. Un uomo torturato. Insomma, un'immagine abbastanza truce. A chi potrebbe rispondere dicendo che quella è l'immagine del sacrificio per la salvezza di tutti, obietto che questo è il significato dei simboli. Simboli di qualcosa. Simboli per qualcuno. Non è "solo" un simbolo. E' "soprattutto" un simbolo. Ed è riconosciuto come tale solo da un cristiano.
Non è un attacco alla chiesa togliere i crocifissi. E' un attacco alla laicità imporre visivamente un simbolo. E' un attacco alla laicità dello stato impostare l'ora di religione parlando solo di religione cristiana cattolica.
E' vero che non bisogna perdere le radici della nostra identità nazionale. Ma è ancora più vero che bisogna rispettare le leggi.
E allora mi chiedo: sono meno cittadino italiano se non abbraccio il cristianesimo o se non rispetto la legge?

mercoledì 28 ottobre 2009

LA MESSINA MASSONA. Indagini nate da un pentito. C'è il nome di Nania

di Giuseppe Giustolisi

Ancora una volta Barcellona Pozzo di Gotto. Ancora una volta quel bubbone di affari sporchi, poteri occulti e coperture istituzionali, mai interamente disvelate, torna ad essere oggetto di infagine della magistratura. Ancora una volta c'è di mezzo l'ombra della massoneria e della mafia. Tre giorni da la Polizia di Messina ha eseguito una perquisizione, su ordine dei magistrati della Dda Angelo Cavallo e Giuseppe Verzera, nell'appartamento dovi si riunivano gli esponenti della loggia massonica coperta Ausonia. E i poliziotti si sono trovati davanti a uno scenario fatto di teschi, candelabri e arredi tipicamente massonici. Un campionario di oggetti posto sotto sequestro, insieme agli elenchi degli associati, tra cui medici, avvocati, insegnanti e imprenditori. Sei persone sono state identificate, fra cui il Gran maestro Carmelo La Rosa, medico di Barcellona Pozzo di Gotto e proprietario della casa. Tutto nasce dalle dichiarazioni di Maurizio Marchetta, ex Presidente del Consiglio comunale di Barcellona (An), un imprenditore finito nelle carte dell'inchiesta di mafia Omega e massone dichiarato del Grande Oriente d'Italia, loggia Eugenio Barresi. Dal gennaio del 2009 collabora con la giustizia e ha raccontato ai magistrati che anche grazie a questa loggia sarebbero stati condizionati appalti e assunzioni pubbliche. "POsso riferire di forme di condizionamento determinate dall'attuale sindaco di Barcellona Candeloro Nania. Il sindaco ha iposto a privati proprietari di terreni, che hanno ottenuto grazie a lui l'aumento dell'indice di cubatura, le progettazioni e le successive costruzioni con professionisti da lui stesso scelti". Sempre dallo stesso verbale salta fuori il nome di un altro Nania, il più famoso senatore di An., Mimmo, cugino del sindaco: "In questo gioco di potere, in particolare, è coinvolto, con la sua influenza, il senatore Mimmo Nania". Le vicende oggetto dell'inchiesta, insieme ai nomi dei due cugini politici, comparivano già nella richiesta di scioglimento per mafia del comune di Barcellona Pozzo di Gotto, avanzata dal Prefetto di Messina tre anni fa al governo Prodi, rimasta senza esito. Anche allora sindaco del comune di Barcellona era Candeloro Nania.

da Il Fatto Quotidiano
28.10. 2009

martedì 20 ottobre 2009

Terme Vigliatore 9 Avvisi di Garanzia

Una nuova inchiesta sul comune di Terme Vigliatore, condotta dalla procura di Barcellona anche sulla scorta delle denunce di Adolfo Parmaliana, morto suicida poco più di un anno fa. I sostituti procuratore Michele Martorelli, Francesco Massara e Salvatore De Luca hanno chiuso le inchieste su una tranche di lavori pubblici nel comune tirrenico, risalenti al periodo tra il 2004 ed il 2005. Nove le persone raggiunte dall'avviso di garanzia per le ipotesi di abuso d’ufficio e falso (contestate a vario titolo). Si tratta dell'ex tecnico a scavalco Tindaro Falliano, l’ex sindaco Gennaro Nicolò, l’ex segretaria comunale Gaetana Cangemi ed il tecnico comunale Vincenzo Torre. Raggiunti dall’avviso anche gli assessori del tempo Domenico Munafò, Antonio Cipriano, Gianni Lopes, Giuseppe Scilipoti e Filippo Neri Squadrito. La procura contesta agli indagati la redazione di alcuni attestati falsi per favorire alcuni lavori di somma urgenza per allacci alla rete fognaria di Barcellona. Inoltre l’ex segretaria è indiziata sulle modalità di impegno dei fondi del terremoto del 78. Altra accusa contestata è quella sulle modalità di nomina di Tindaro Falliano (secondo la procura c’erano professionalità interne che vennero scavalcate.

giovedì 15 ottobre 2009

Mare Nostrum droga: chiesta la conferma della sentenza di primo grado per i 20 imputati al processo d'appello

È stata chiesta la conferma in appello della sentenza di primo grado per i 20 imputati al troncone processuale del maxi processo Mare Nostrum sulla malavita nella zona tirrenica del messinese che tratta dei fatti di droga. Il pg Ernesto Morici oggi ha chiesto la conferma delle 14 condanne emesse in primo grado nel 2005 ed ha rinunciato all'appello, avanzato dal pm, per sei delle persone assolte.

Le condanne da 14 a 5 anni per Massimo Beneducee Giulio Calderone , Umberto Beneduce, Salvatore Bianco , Ugo Manca, Salvatore Costa , Filippo Minolfi, Francesco Minolfi, Benedetto Mondello, Rosario Rotella, Armando Gangemi, Andrea Cattafi, Domenico Longo e Valentino Rotella. Il pg ha rinunciato all'appello per i sei assolti in primo grado Luigi Alberti, Antonino Barresi, Domenico e Salvatore Ofria, Luigi Leto e Mario Giulio Calderone.


NE CONOSCETE QUALCUNO DI QUESTI?

Alluvione 2007: I soldi c'erano

I soldi per mettere in sicurezza i comuni in provincia di Messina c'erano; erano stati predisposti dopo le alluvioni del 2007. Ecco l'ordinanza con le cifre stanziate, della cui gestione era responsabile la protezione civile siciliana, e con gli interventi previsti, da fare molto in fretta. Perché non sono stati usati, quei fondi? Dove sono finiti? Ordinanza n. 3668 del 17 aprile 2008: «Disposizioni urgenti di protezione civile dirette a fronteggiare gli eventi calamitosi in ordine agli eccezionali eventi atmosferici verificatisi nei mesi di settembre, ottobre e novembre 2007 nei comuni della fascia jonica della provincia di Messina». Somme stanziate dalla Regione Siciliana: 3 + 4 milioni di euro. Responsabile dell’utilizzo del finanziamento: il commissario delegato per il superamento dell’emergenza, ovvero il dirigente generale del dipartimento della Protezione civile della Regione siciliana, Ing. Salvatore Cocina. I soldi dunque c’erano. Pochi, d’accordo, e assolutamente insufficienti per la messa in sicurezza di tutto il territorio ferito dall’alluvione del 25 ottobre 2007 [il Genio civile aveva stimato necessari interventi per oltre 50 milioni di euro]. Ma le priorità d’intervento erano state individuate. Giampilieri Superiore e Scaletta Zanclea erano in cima alla lista. E se con quei soldi si fosse potuta salvare una frazione, un gruppo di case, una chiesa, o una sola vita umana e ciò non è stato fatto, qualcuno ne dovrà rispondere personalmente

Consorzio Autostrade Siciliane: indagini chiuse per sei indagati

Il sostituto procuratore, Vincenzo Cefalo è giunto ad un punto cruciale dell’inchiesta sulle ultime due gestioni amministrative del Consorzio Autostrade Siciliane. Il magistrato ha concluso la fase delle indagini del fascicolo che pone in evidenza le gestioni dell’ex presidente del Consorzio Antonino Minardo e dell’attuale presidente Patrizia Valenti. Quest’ultima era stata rimossa dal commissario regionale ma recentemente è tornata al suo posto grazie ad una sentenza del Tar di Catania. L’avviso di chiusura indagini riguarda l'ex presidente Antonino Minardo, i membri del CdA Carmelo Torre, Angelo Paffumi e Giuseppe Faraone, il presidente Patrizia Valenti e il funzionario dell'ente Felice Siracusa. Per loro la Procura ha ipotizzato i reati di abuso d'ufficio e rifiuto-omissione di atti d'ufficio per tre distinte vicende. Intanto tutti i sei indagati hanno chiesto di essere sentiti. Il sostituto Cefalo li interrogherà nei prossimi giorni e poi deciderà se chiederà il rinvio a giudizio o l’archiviazione. La prima parte dell’inchiesta riguarda la delibera con cui il 20 settembre del 2007 fu nominato Direttore generale del Consorzio l'ingegnere Vincenzo Pozzi, ex manager dell'Anas. Delibera che non passò all’unanimità. Alcuni membri del CdA votarono mentre a favore si schierarono il presidente Minardo, il vicepresidente Torre e poi Paffumi e Faraone. Da qui l’esposto in Procura in quanto, secondo alcuni membri del Cda, Pozzi fu scelto senza esaminare nessun'altra candidatura. C’è poi il reato di rifiuto di atti d'ufficio ipotizzato per Minardo, Torre, Paffumi e Faraone. Quella delibera, che prevedeva un compenso di 107.000 euro annui lordi per Pozzi, sarebbe stata in contrasto con una sentenza del Tar del 2006. Il Tribunale amministrativo di Catania imponeva al Consorzio l’obbligo di approvare la graduatoria del concorso interno per titoli, per coprire il posto di dirigente generale. Procedura che, secondo i denuncianti, non fu seguita. L’ultima tranche dell’inchiesta vede protagonista il reintegrato presidente del Cas, Patrizia Valenti. Il funzionario, secondo l’accusa, avrebbe ignorato del tutto un provvedimento del Tar che le imponeva l'assunzione dell'avvocato Olivia Pintabona a direttore generale del Consorzio. Quest’ultima, infatti, da tempo aveva avviato un contenzioso legale con il Cas per la copertura di quell’incarico.

da La voce del Longano.

sabato 10 ottobre 2009

A Fondi vince la Mafia

IL GOVERNO NON VUOLE SCIOGLIERE IL COMUNE


I boss vincono. Il Comune di Fondi non viene sciolto per mafia. Si commissaria. Perché sindaco e assessori, tutti del Pdl, una decina di giorni fa si sono dimessi spontaneamente, come si fa dopo una normale crisi politica. Lo ha deciso il governo, e il ministro Maroni ha sbugiardato se stesso: “L’amministrazione comunale non c’è più. Il problema è stato risolto ho proposto di scegliere la via della democrazia. Si vota a marzo”. Buttando a mare il lavoro del prefetto di Latina Bruno Frattasi e stracciando le indagini della procura antimafia di Roma. Eppure tutti a Palazzo Chigi sanno che a Fondi, sede del più importante mercato ortofrutticolo d'Italia, comanda la mafia. Ha assessori a disposizione, consiglieri, funzionari comunali, finanche uomini della polizia municipale. Conquista appalti, controlla le delibere che venivano sottoposte al vaglio del boss di turno prima di essere portate in consiglio. Ma il Comune non si scioglie. Non sono bastate due relazioni del Prefetto Frattasi, due inchieste giudiziarie, diciassette arresti eccellenti, tre consigli dei ministri. La mafia non esiste nel regno di Claudio Fazzone. Un ex poliziotto già autista di Nicola Mancino, poi consigliere regionale di Forza Italia, infine senatore e grande collettore di voti al Pdl. Cinquantamila, per la precisione, quanti ne bastano per avere in consiglio dei ministri appoggi eccellenti: Giorgia Meloni, assidua frequentatrice del Basso Pontino; Renato Brunetta, cognato del sindaco di Cisterna di Latina Antonello Merolla (al quale il senatore Fazzone ha portato centinaia di voti); Altero Matteoli, in ottimi rapporti con i consiglieri Pdl di Aprilia.

Grazie alle loro pressioni la decisione di sciogliere il Comune per mafia è stata rinviata per ben due volte in Consiglio dei ministri. E sarebbero stati loro a suggerire al sindaco Luigi Parisella di dimettersi per evitare un commissariamento speciale. Tutti e tre e l'intero governo hanno di fatto sbugiardato il ministro dell'Interno Roberto Maroni. Che il 18 settembre scorso ha presentato al Capo dello Stato una relazione durissima chiedendo lo scioglimento per mafia del Comune. “L'ingerenza della criminalità organizzata”, si legge, è pesantissima, tale da condizionare tutte le decisioni dell'amministrazione. A Fondi comandano le famiglie Tripodo- Trani. 'Ndrangheta. Ma anche i clan della camorra, casalesi, in primo luogo. La loro penetrazione è stata favorita da “rapporti di parentela, frequentazione, contiguità” di amministratori e dipendenti comunali con “soggetti vicini o organici alla criminalità organizzata”. Carmelo e Venanzio Tripodo, figli del vecchio boss calabrese Mico, e i loro alleati sono i veri padroni di Fondi. Dove, scrive sempre Maroni, la normativa antimafia e antiriciclaggio non esiste quando si tratta di appalti pubblici. Dove anche la costruzione della nuova faraoinca sede comunale è stata fatta senza rispettare alcuna norma sulla trasparenza e le leggi antimafia. “L'associazione temporanea di imprese aggiudicataria dei lavori – si legge nella relazione del ministro dell'Interno – è risultata partecipata da una impresa coinvolta in un procedimento penale con indagati per gravi reati tra cui quello di associazione di tipo mafioso”.

Esulta il senatore Fazzone: “Oggi è stata fatta giustizia, ora la parola passa al popolo sovrano che potrà finalmente scegliere da chi farsi governare”. E ha ragione, perché grazie all'escamotage delle dimissioni, sindaco, assessori e consiglieri potranno ricandidarsi. La mafia è felice, i politici che con i fratelli Tripodo erano pappa e ciccia pure. E il senatore Fazzone, insieme al sindaco Parisella potranno continuare a fare affari. Come quello della Silo, un capannone industriale che ha ricevuto 2 miliardi di lire di finanziamento pubblico. Non ha mai prodotto alcunché, ma i terreni intorno hanno subito forti incrementi di valore grazie alle varianti al Prg. È grazie ai rapporti con la politica, scrivono i magistrati della procura antimafia di Roma che “i Tripodo riuscivano a radicarsi e a radicare i propri affari in un contesto territoriale non solo distante centinaia di chilometri dalle zone di origine, ma soprattutto riuscivano a ricreare meccanismi criminali propri dei contesti mafiosi”. Fondi come un paese dell'Aspromonte, dove vincono violenza, omertà e complicità eccellenti. Grazie alle quali Vincenzo Giarruzzo, “legato a Salvatore La Rosa esponente del clan Bellocco-Pesce di Rosarno e a Massimo di Fazio, socio e grande amico dell’ex assessore Izzi”, ha potuto costruire una vera e propria cittadina abusiva, con “concessioni totalmente illegittime”, visto che sull’area era stata già sfruttata tutta la volumetria edificabile. “In quel periodo non ero completamente lucido - fa mettere a verbale l’ex assessore Izzi, arrestato in un recente blitz - facevo uso di cocaina”. Chi erano I fratelli Tripodo lo racconta uno dei pentiti storici della mafia calabrese, Giacomo Lauro. “Trafficavano la droga portata da noi calabresi . I guadagni erano elevatissimi e venivano investiti in acquisto di immobili”. Ha vinto la mafia, hanno vinto il senatore Fazzone, il sindaco e gli assessori compiacenti. Tutto rimane come prima a Fondi.
di Enrico Fierro
da Il Fatto Quotidiano
10 ottobre 2009

venerdì 9 ottobre 2009

MESSINA, IL COMUNE CON UN ‘BUCO’ DA 500 MILIONI DI EURO

IL SINDACO BUZZANCA E IL SISTEMA DI CLIENTELE CHE MANGIA SOLDI PUBBLICI LASCIANDO LA CITTA’ IN BANCAROTTA

Alza la voce Peppino Buzzanca. “La vittime di Messina non sono di serie b”. vuole funerali di Stato e li ottiene. Sabato lutto nazionale. E così i morti di Giampilieri saranno finalmente onorati e riceveranno quelle attenzioni che non hanno avuto da vivi. Quando la politica pensava ad altro. Non ai soldi da spendere per mettere in sicurezza il borgo dopo l’alluvione del 2007, ma alla gestione del potere. Che qui è granitico, immutabile e si trasmette per eredità familiare. E’ finita la Prima Repubblica, sono scomparsi i vecchi partiti, ma le grandi famiglie politiche, quelle che hanno governato ai tempi della Dc e del Psi, dominano ancora. La città “è uno stagno in cui non vi è alcun alito di vento che agiti le acque”. Analisi tristissima e desolante quella del magistrato Giusto Sciacchitano. Fa da filo conduttore del libro inchiesta Messina capitale d’Italia di Roberto Gugliotta e Gianfranco Pensavalli. Qui, più che in qualsiasi altro luogo d’Italia, la politica non ha remore nella gestione del potere. Il Comune ha un deficit di 500 milioni di euro. La bancarotta è vicina. Eppure il sindaco Buzzanca arricchisce il pool di avvocati a sua disposizione di sette legali. Da otto a quindici per una spesa di 270.000 euro l’anno. Nell’elenco un ex parlamentare di Forza Italia, Anonino Gazzara, Mariangela Ferrara, cognata di Rocco Crimi, sottosegretario allo Sport, e Giulia Carrara, la sorella di Nuccio, un ex senatore di An. Il manuale Cencelli domina e detta le regole per la spartizione di enti, partecipate, società miste, ospedali. La Corte dei Conti ha analizzato i bilanci delle Aziende sanitarie siciliane del 2008. Il deficit è di 331 milioni di euro, l’azienda che si piazza al secondo posto del grande scialo (al primo c’è Catania) è quella di Messina: un buco di 62 milioni. A dirigerla Salvatore Furnari, un uomo di Rocco Crimi, il potentissimo sottosegretario allo sport. Nel cda del Vittorio Emanuele, il teatro della città, siedono Daniela Faranda, cugina del deputato Pdl Nino Germanà e Gustavo Ricevuto, fratello di Nanni, il Presidente della Provincia. Tutto a loro nella città di Peppino Buzzanca, una condanna sul groppone a sei mesi per ‘peculato d’uso’ quando era Presidente della Provincia. La storia è nota e fece ridere l’Italia. Era il 1995, Buzzanca, sposato da pochi giorni decise di fare un regolare viaggio di nozze. Solo che si fece accompagnare dall’autista con l’auto blu dell’ente. Processato venne condannato e dovette dimettersi. Non poteva più fare il sindaco, nè candidarsi. Nessun problema: anche per lui il governo Berlusconi varò una leggina, decidendo per decreto che il reato andava depenalizzato e che comunque non rientrava tra le cause di ineleggibilità. La politica lo sostenne, la legge pure e i messinesi non gridarono allo scandalo. La poltrona di sindaco era nel frattempo stata occupata dal centrosinistra con Francantonio Genovese, un ricco imprenditore dalle nobili origini democristiane. Suo zio era Nino Gullotti, uno dei potenti della Dc siciliana, suo padre Luigi senatore dello scudo crociato. Ma durò poco. Nel 2006 Genovese cade, il Comune viene commissariato, pochi mesi dopo si va al voato e Buzzanca stravince. Nel piatto della ‘nuova’ Messina c’è una torta ricchissima: 247 milioni per il waterfront, 100 per il risanamento delle aree industriali dismesse. Grandi business per le solite grandi famiglie di imprenditori e costruttori. Nel frattempo il potere litiga sulle responsabilità per il disastro e i morti dell’alluvione: Nania contro Prestigiacomo e Bertolaso, il sindaco contro tutti. E i soldi per il risanamento non ci sono. La Regione ha chiesto un miliardo per le opere più urgenti, il ministero dell’Ambiente ha stanziato solo 106 milioni, mentre dalla Ue sono in arrivo, ma per tutte le realtà italiane, spiccioli: 50 milioni dai fondi strutturali. Messina e le sue colline fragili aspettano.
Di Enrico Fierro
Il fatto quotidiano
08.10.2009

mercoledì 7 ottobre 2009

QUEL SISTEMA DI POTERE CHE STRITOLA MESSINA NANIA, BUZZANCA & C.

Un tour in auto per Messina e ti si accappona la pelle. Uscito dalle macerie di Giampilieri, fissati gli occhi sulle case spianate e sotterrate dal fango della collina, ti si para davanti una città fragilissima. La città delle fiumare cementificate dove hanno costruito di tutto. Palazzi e scuole. E dei monti che da anni nessuno cura e difende, pronti a vendicarsi, a diventare un giorno bombe di fango. La città del Grande Terremoto. Che cent’anni fa uccise e distrusse. Ma che cent’anni dopo non è stato capace di insegnare granché ai messinesi e ai loro amministratori. Basta vedere i palazzi costruiti sulle colline, nove, dieci piani per ammirare uno dei panorami più belli d’Italia. Per questo la chiamano la Panoramica la circonvallazione che dall’Annunziata porta fino a Capo Pellaro. Nessuna via di fuga.
Si vede lo Stretto e Reggio e nelle giornate di sole limpido anche il lungomare dall’altra parte. Ma solo per chi abita negli attici o negli appartamenti degli ultimi piani, case, palazzi, strade strette. Nessuna via di fuga nel caso in cui il sisma dovesse decidere di ripresentarsi cent’anni dopo. Hanno fatto di tutto a questa città. Lo dicono gli ambientalisti, i comitati che si battono contro il Ponte sullo Stretto, lo documentano, articolo dopo articolo, i giornalisti del settimanale CENTONOVE. Pazzi, gente che parla tanto per dire. Che non ha capito che la regola a Messina è “cummigghiari”. Nascondere. Qui il potere ha mille facce.
I padroni dello stretto.
Quella ufficiale della politica e quella nascosta delle logge massoniche. Quella onnipresente e bipartisan dei Franza e dei Genovese. I padroni dello Stretto, e quella dei baronati universitari, delle magistrature e delle burocrazie. Domenico Nania, uomo forte di An, oggi ras in crisi del Pdl siciliano; Peppino Buzzanca, una volta di An pure lui, il sindaco della città; Rocco Crimi, sottosegretario allo Sport; Formica, vicepresidente dell’Assemblea regionale siciliana. Sono i rappresentanti del potere politico. Una volta fortissimo. Decidevano a Palermo, contavano a Roma. Ora alla Regione c’è Raffaele Lombardo che toglie spazi. Il Pdl siciliano è un campo di battaglia con gli uomini del sottosegretario Gianfranco Miccichè e i supporters del Presidente del Senato Renato Schifani che si combattono all’arma bianca. A Roma e a Palermo si conta se si controllano i consigli comunali. E i Piani regolatori della città. Quello di Messina lo stanno demolendo a colpi di varianti, correzione, piani di quadro. Stanno toccando tutto ma non la previsione di crescita della città 550mila abitanti, così c’era scritto negli studi e nelle tabelle quando fu partorito, i primi anni Novanta. Perchè questo è il miglior modo per costruire dovunque. E forse ha ragione Antonio Martino, l’ex ministro della Difesa, messinese doc e tra i fondatori di Forza Italia. Intervistato dal Corriere della Sera dopo la tragedia di Giampilieri, ha detto che una buona parte dell’edilizia di Messina è in regola, certo, ma solo sulla carta. Basta continuare il tour per vedere e capire. Viale Boccetta, qui c’è l’ingresso dell’autostrada. Una ditta di costruzione ha demolito una parte della suola di fondazione della spalla del viadotto per costruire un passo carrabile. Serviva al passaggio dei camion e delle betoniere per il cantiere di un residence. Sette indagati. Una telenovela di ricorsi, opposizioni burocratiche. Querele e denunce. Ma giocando con le carte si può fare il miracolo di trasformare le zone verdi, destinate a rimanere tali, in estese aree edificabili.
Verde cementificato.
Dietro il liceo “Archimede” è stato costruito un palazzone di sei piani, compresi interrati e portici. Per le “carte” del vecchio Prg quell’area era destinata a verde pubblico. Non è andata così. Se poi si leggono i nomi dei soci della Coim, la società che ha tirato su il palazzo, si capiscono tante cose sul rapporto tra politica e affari in questa città. Un avvocato donna che fa parte del collegio di difesa del Comune, ovviamente nominata dal sindaco Peppino Buzzanca, sposata con Giovanni Crimi, fratello del sottosegretario allo Sport Rocco, uno dei potenti della città. E un’altra donna moglie del progettista del complesso e membro della commissione edilizia comunale. Piccole cose, se si vuole, rispetto ai grandi affari della città. Gianfranco Scoglio, Pdl, è l’Assessore comunale ai lavori pubblici. E’ raggiante, perchè due giorni fa, in un clima rigorosamente bipartisan, è stato approvato il piano triennale per le opere pubbliche. Il Pd aveva presentato 300 emendamenti, li ha ritirati dopo la tragedia di questi giorni. Si costruiranno parcheggi, strade, si metterà mano alla mobilità sul territorio. Ma il grande affare è la trasformazione del Tirone, uno degli ultimi borghi pre-terremoto. Un’area da risanare e da restituire alla città. Ci sono già i deplianti con le foto e i diagrammi che mostrano il futuro della zona. Edilizia residenziale, palazzi da 9 a 15 piani. Cemento. Politica e piani regolatori. Se a Messina funziona così. A Scaletta, uno dei paesi dell’alluvione, il potere si tramanda di padre in figlio. Oggi Mario Briguglio inveisce contro chi individua nella speculazione edilizia incontrollata una delle cause della tragedia. Ieri il papà, collocatore comunale di antica fede democristiana, costruiva il potere della famiglia.

Enrico Fierro
Il Fatto Quotidiano
07.10.2009

venerdì 2 ottobre 2009

E ANCHE CASA PAUND FA “COMING OUT”

INCONTRO A ROMA TRA UN’ASSOCIAZIONE DI ESTREMA DESTRA E IL MONDO GAY

Sì alle coppie di fatto e a progetti di convivenza basati su un vincolo affettivo. A prescindere dagli orientamenti sessuali. Luogo della discussione: la sede romana di CasaPound Italia, centro sociale di estrema destra con comunità sparse in tutta la penisola. Qui sono state ospitate associazioni gay e lesbo. Prese le distanze dai recenti episodi di violenza omofoba, CasaPound risponde con il tavolo di confronto alle polemiche sull’adesione alla fiaccolata di Roma del 24 settembre contro i razzismi e l’omofobia. In quell’occasione a remare per primo contro CasaPound fu il sindaco di Roma Gianni Alemanno, arroccato peraltro su posizioni meno avanzate in tema di diritti gay. I ‘neri’ di Iannone fanno invece un vero e proprio coming out riguardo l’onmosessualità, che fa arrossire anche molti della sinistra: una presa di posizione laica, occasione per un dialogo guardingo ma sereno, condotto con attitudine costruttiva e ascolto reciproco, non senza diffidenze e occhiate oblique da entrambe le parti. No fermo, però, alle adozioni per le coppie gay, senza alcun distinguo sull’omogenitorialità. Completamente ignorate le persone transessuali. Un dubbio, infine, sull’idea di buon gusto che dovrebbe ispirare la condotta delle coppie di fatto. Che sposterebbe il discorso della gestione delle identità sul piano di una discrezionalità e di un’ortodossia che, forse, tradiscono ancora rischi di incomprensione. “Vi presterò dei libri”, promette una ragazza lesbica, al momento dei saluti. Con qualche dubbio su come si possano conciliare apertura all’omosessualità e lotta al razzismo con le aperte nostalgie dei nonni fascisti.
Francesco Paolo Del Re
Il Fatto Quotidiano
02.10.2009

giovedì 1 ottobre 2009

"Io, sconfitto dalla mafia di stato"

1 ottobre 2009
De Magistris: “Punito perchè ho fatto solo il mio dovere”.

Al Sig. Presidente della Repubblica
Piazza del Quirinale ROMA

Signor Presidente, scrivo questa lettera a Lei soprattutto nella Sua qualità di Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura. E’ una lettera che non avrei mai voluto scrivere. E’ uno scritto che evidenzia quanto sia grave e serio lo stato di salute della democrazia nella nostra amata Italia.

E’ una lettera con la quale Le comunico, formalmente, le mie dimissioni dall’Ordine Giudiziario.

Lei non può nemmeno lontanamente immaginare quanto dolorosa sia per me tale decisione. Sebbene l’Italia sia una Repubblica fondata sul lavoro – come recita l’art. 1 della Costituzione – non sono molti quelli che possono fare il lavoro che hanno sognato; tanti il lavoro non lo hanno, molti sono precari, altri hanno dovuto piegare la schiena al potente di turno per ottenere un posto per vivere, altri vengono licenziati come scarti sociali, tanti altri ancora sono cassintegrati. Ebbene, io ho avuto la fortuna di fare il magistrato, il mestiere che avevo sognato fin dal momento in cui mi iscrissi alla facoltà di Giurisprudenza dell’Università “Federico II” di Napoli, luogo storico della cultura giuridica. La magistratura ce l’ho nel mio sangue, provengo da quattro generazioni di magistrati. Ho respirato l’aria di questo nobile e difficile mestiere sin da bambino. Uno dei giorni più belli della mia vita è stato quando ho superato il concorso per diventare uditore giudiziario. Una gioia immensa che mai avrei potuto immaginare destinata a un epilogo così buio. E’ cominciata con passione, idealità, entusiasmo, ma anche con umiltà ed equilibrio, la missione della mia vita professionale, come in modo spregiativo la definì il rappresentante della Procura Generale della Cassazione durante quel simulacro di processo disciplinare che fu imbastito nei miei confronti davanti al Csm. Per me, esercitare le funzioni giudiziarie in ossequio alla Costituzione Repubblicana significava tentare di dare una risposta concreta alla richiesta di giustizia che sale dai cittadini in nome dei quali la Giustizia viene amministrata. Quei cittadini che – contrariamente a quanto reputa la casta politica e dei poteri forti – sono tutti uguali davanti alla legge. Del resto Lei, signor Presidente, che è il custode della Costituzione, ben conosce tali inviolabili principi costituzionali e mi perdoni, pertanto, se li ricordo a me stesso.

I modelli ai quali mi sono ispirato sin dall’ingresso in magistratura – oltre a mio padre, il cui esempio è scolpito per sempre nel mio cuore e nella mia mente – sono stati magistrati quali Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Ed è nella loro memoria che ho deciso di sventolare anch’io l’agenda rossa di Borsellino, portata in piazza con immensa dignità dal fratello Salvatore. Ho sempre pensato che chi ha il privilegio di poter fare quello che sogna nella vita debba dare il massimo per il bene pubblico e l’interesse collettivo, anche a costo della vita. Per questo decisi di assumere le funzioni di Pubblico Ministero in una sede di trincea, di prima linea nel contrasto al crimine organizzato: la Calabria. Una terra da cui, in genere, i magistrati forestieri scappano dopo aver svolto il periodo previsto dalla legge e dove invece avevo deciso (ingenuamente) di restare.

Ho dedicato a questo lavoro gli anni migliori della mia vita, dai 25 ai 40, lavorando mai meno di dodici ore al giorno, spesso anche di notte, di domenica, le ferie un lusso al quale dover spesso rinunciare. Sacrifici enormi, personali e familiari, ma nessun rimpianto: rifarei tutto, con le stesse energie e il medesimo entusiasmo.

In questi anni difficili, ma entusiasmanti, in quanto numerosi sono stati i risultati raggiunti, ho avuto al mio fianco diversi colleghi magistrati, significativi settori della polizia giudiziaria, un gruppo di validi collaboratori. Ho cercato sempre di fare un lavoro di squadra, di operare in pool. Parallelamente al consolidarsi dell’azione investigativa svolta, però, si rafforzavano le attività di ostacolo che puntavano al mio isolamento, alla de-legittimazione del mio lavoro, alle più disparate strumentalizzazioni. Intimidazioni, pressioni, minacce, ostacoli, interferenze. Attività che, talvolta, provenivano dall’esterno delle Istituzioni, ma il più delle volte dall’interno: dalla politica, dai poteri forti, dalla stessa magistratura. Signor Presidente, a Lei non sfuggirà, quale Presidente del CSM, che l’indipendenza della magistratura può essere minata non solo dall’esterno dell’ordine giudiziario, ma anche dall’interno: ostacoli nel lavoro quotidiano da parte di dirigenti e colleghi , revoche e avocazioni illegali, tecniche per impedire un celere ed efficace svolgimento delle inchieste.

Ho condotto indagini nei settori più disparati, ma solo quando mi occupavo di reati contro la Pubblica amministrazione diventavo un cattivo magistrato.

Posso dire con orgoglio che il mio lavoro a Catanzaro procedeva in modo assolutamente proficuo in tutte le direzioni, come impone il precetto costituzionale dell’obbligatorietà dell’azione penale, corollario del principio di uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. La polizia giudiziaria lavorava con sacrifici enormi, perché percepiva che risultati straordinari venivano raggiunti. Le persone informate dei fatti testimoniavano e offrivano il loro contributo. Lo Stato c’era ed era visibile, in un territorio martoriato dal malaffare. Le inchieste venivano portate avanti tutte, senza insabbiamenti di quelle contro i poteri forti (come invece troppe volte accade). Questo modo di lavorare, il popolo calabrese – piaccia o non piaccia al sistema castale – lo ha capito, mostrandoci sostegno e solidarietà. Non è poco, signor Presidente, in una Regione in cui opera una delle organizzazioni mafiose più potenti del mondo. E che lo Stato stesse funzionando lo ha compreso bene anche la criminalità organizzata. Tant’è vero che si sono subito affinate nuove tecniche di neutralizzazione dei servitori dello Stato che si ostinano ad applicare la Costituzione Repubblicana. Non so se Ella, Signor Presidente, condivide la mia analisi. Ma a me pare che - dopo la stagione delle stragi di mafia culminate nel 1992 con gli attentati di Capaci e di via D’Amelio e dopo la strategia della tensione delle bombe a grappolo in punti nevralgici del Paese nel 1993 - le mafie hanno preso a istituzionalizzarsi. Hanno deciso di penetrare diffusamente nella cosa pubblica, nell’economia, nella finanza. Sono divenute il cancro della nostra democrazia. Controllano una parte significativa del prodotto interno lordo del nostro paese, hanno loro rappresentanti nella politica e nelle Istituzioni a tutti i livelli, nazionali e territoriali. Nemmeno la magistratura e le forze dell’ordine sono rimaste impermeabili. Si è creata un’autentica emergenza democratica, da sconfiggere in Italia e in Europa.

Gli ostacoli più micidiali all’attività dei servitori dello Stato sono i mafiosi di Stato: quelli che indossano abiti istituzionali, ma piegano le loro funzioni a interessi personali, di gruppi, di comitati d’affari, di centri di potere occulto. Non mi dilungo oltre, perché credo che al Presidente della Repubblica tutto questo dovrebbe essere noto.

Ebbene oggi, Signor Presidente, non è più necessario uccidere i servitori dello Stato: si creerebbero nuovi martiri; magari, ai funerali di Stato, il popolo prenderebbe di nuovo a calci e sputi i simulacri del regime; l’Europa ci metterebbe sotto tutela. Non vale la pena rischiare, anzi non serve. Si può raggiungere lo stesso risultato con modalità diverse: al posto della violenza fisica si utilizza quella morale, la violenza della carta da bollo, l’uso illegale del diritto o il diritto illegittimo, le campagne diffamatorie della propaganda di regime, si scelga la formula che più piace.

Che ci vuole del resto, signor Presidente, per trasferire un magistrato perbene, un poliziotto troppo curioso, un carabiniere zelante, un finanziere scrupoloso, un prete coraggioso, un funzionario che non piega la schiena, o per imbavagliare un giornalista che racconta i fatti? E’ tutto molto semplice, quasi banale. Ordinaria amministrazione.

Per allontanare i servitori dello Stato e del bene pubblico, bisogna prima isolarli, delegittimarli, diffamarli, calunniarli. A questo servono i politici collusi, la stampa di regime al servizio dei poteri forti, i magistrati proni al potere, gli apparati deviati dello Stato. La solitudine è una caratteristica del magistrato, l’isolamento è un pericolo. Ebbene, in Calabria, mentre le persone rispondevano positivamente all’azione di servitori dello Stato vincendo timori di ritorsioni, spezzando omertà e connivenze, pezzi significativi delle Istituzioni contrastavano le attività di magistrati e forze dell’ordine con ogni mezzo.

Quello che si è realizzato negli anni in Calabria sul piano investigativo è rimasto ignoto, in quanto la cappa esercitata anche dalla forza delle massonerie deviate impediva di farlo conoscere all’esterno. Il resto del Paese non doveva sapere. Si praticava la scomparsa dei fatti. Quando però le vicende sono cominciate a uscire dal territorio calabrese, l’azione di sabotaggio si è fatta ancor più violenta e repentina. Invece dello sbarco degli Alleati, c’è stato quello della borghesia mafiosa che soffoca la vita civile calabrese. L’azione dello Stato produceva risultati in termini di indagini, restituiva fiducia nelle Istituzioni, svelava i legami tra mafia “militare” e colletti bianchi, smascherava il saccheggio di denaro pubblico perpetrate da politici collusi, (im)prenditori criminali e pezzi deviati delle Istituzioni a danno della stragrande maggioranza della popolazione, scoperchiava un mercato del lavoro piegato a interessi illeciti, squadernava il controllo del voto e, quindi, l’inquinamento e la confisca della democrazia.

Sono cose che non si possono far conoscere, signor Presidente. Altrimenti poi il popolo prende coscienza, capisce come si fanno affari sulla pelle dei più deboli, dissente e magari innesca quella democrazia partecipativa che spaventa il sistema di potere che opprime la nostra democrazia. Una presa di coscienza e conoscenza poteva scatenare una sana e pacifica ribellione sociale. Lei, signor Presidente, dovrebbe conoscere – sempre quale Presidente del CSM - le attività messe in atto ai miei danni. Mi auguro che abbia assunto le dovute informazioni su quello che accadeva in Calabria per fermare il lavoro che stavo svolgendo in ossequio alla legge e alla Costituzione. Avrà potuto così notare che è stata messa in atto un’attività di indebito esercizio di funzioni istituzionali al solo fine di bloccare indagini che avrebbero potuto ricostruire fatti gravissimi commessi in Calabria (e non solo) da politici di destra, di sinistra e di centro, da imprenditori, magistrati, professionisti, esponenti dei servizi segreti e delle forze dell’ordine. Tutto ciò non era tollerabile in un Paese ad alta densità mafiosa istituzionale. Come poteva un pugno di servitori dello Stato pensare di esercitare il proprio mandato onestamente applicando la Costituzione? Signor Presidente, Lei - come altri esponenti delle Istituzioni - è venuto in Calabria, ha esortato i cittadini a ribellarsi al crimine organizzato e ad avere fiducia nelle Istituzioni. Perché, allora, non è stato vicino ai servitori dello Stato che si sono imbattuti nel cancro della nostra democrazia, cioè nelle più terribili collusioni tra criminalità organizzata e poteri deviati? Non ho mai colto alcun segnale da parte Sua in questa direzione, anzi. Eppure avevo sperato in un Suo intervento, anche pubblico: ero ancora nella fase della mia ingenuità istituzionale. Mi illudevo nella neutralità, anzi nell’imparzialità dei pubblici poteri. Poi ho visto in volto, pagando il prezzo più amaro, l’ingiustizia senza fine.

Sono stato ostacolato, mi sono state sottratte le indagini, mi hanno trasferito, mi hanno punito solo perché ho fatto il mio dovere, come poi ha sancito l’Autorità Giudiziaria competente. Ma intanto l’obiettivo era stato raggiunto, anche se una parte del Paese aveva e ha capito quel che è accaduto, ha compreso la posta in gioco e me l’ha testimoniato con un affetto che Lei non può nemmeno immaginare. Un affetto che costituisce per me un’inesauribile risorsa aurea.

Ho denunciato fatti gravissimi all’Autorità giudiziaria competente, la Procura della Repubblica di Salerno: me lo imponeva la legge e prima ancora la mia coscienza. Magistrati onesti e coraggiosi hanno avuto il solo torto di accertare la verità, ma questa ancora una volta era sgradita al potere. E allora anche loro dovevano pagare, in modo ancora più duro e ingiusto: la lezione impartita al sottoscritto non era stata sufficiente. La logica di regime del “colpirne uno per educarne cento” usata nei miei confronti non bastava ancora a scalfire quella parte della magistratura che è l’orgoglio del nostro Paese. Ci voleva un altro segnale forte, proveniente dalle massime Istituzioni, magistratura compresa: la ragion di Stato (ma quale Stato, signor Presidente?) non può tollerare che magistrati liberi, autonomi e indipendenti possano ricostruire fatti gravissimi che mettono in pericolo il sistema criminale di potere su cui si regge, in parte, il nostro Paese.

Quando la Procura della Repubblica di Salerno – un pool di magistrati, non uno “antropologicamente diverso”, come nel mio caso – ha adottato nei confronti di insigni personaggi calabresi provvedimenti non graditi a quei poteri che avevano agito per distruggermi, ecco che il circuito mediatico-istituzionale, ai più alti livelli, ha fatto filtrare il messaggio perverso che era in atto una “lite fra Procure”, una guerra per bande. Una menzogna di regime: nessuna guerra vi è stata, fra magistrati di Salerno e Catanzaro. C’era invece semplicemente, come capirebbe anche mio figlio di 5 anni, una Procura che indagava, ai sensi dell’art. 11 del Codice di procedura penale, su magistrati di un altro distretto. E questi, per ostacolare le indagini, hanno a loro volta indagato i colleghi che indagavano su di loro, e me quale loro istigatore. Un mostro giuridico. Un’aberrazione di un sistema che si difende dalla ricerca della verità, tentando di nascondersi dietro lo schermo di una legalità solo apparente.

Questa menzogna è servita a buttare fuori dalle indagini (e dalla funzioni di Pm) tre magistrati di Salerno, uno dei quali lasciato addirittura senza lavoro. Il messaggio doveva essere chiaro e inequivocabile: non deve accadere più, basta, capito?! Signor Presidente, io credo che Lei in questa vicenda abbia sbagliato. Lo affermo con enorme rispetto per l’Istituzione che Lei rappresenta, ma con altrettanta sincerità e determinazione. Ricordo bene il Suo intervento – devo dire, senza precedenti – dopo che furono eseguite le perquisizioni da parte dei magistrati di Salerno. Rimasi amareggiato, ma non meravigliato. Signor Presidente, questo sistema malato mi ha di fatto strappato di dosso la toga che avevo indossato con amore profondo. E il fatto che non mi sia stato più consentito di esercitare il mestiere stupendo di Pubblico ministero mi ha spinto ad accettare un’avventura politica straordinaria. Un’azione inaccettabile come quella che ho subìto può strapparmi le amate funzioni, può spegnere il sogno professionale della mia vita, può allontanarmi dal mio lavoro, ma non può piegare la mia dignità, nè ledere la mia schiena dritta, nè scalfire il mio entusiasmo, nè corrodere la mia passione e la volontà di fare qualcosa di utile per il mio Paese. Nell’animo, nel cuore e nella mente, sarò sempre magistrato.

Nella Politica, quella con la P maiuscola, porterò gli stessi ideali con cui ho fatto il magistrato, accompagnato dalla medesima sete di giustizia, i miei ideali e valori di sempre (dai tempi della scuola) saranno il faro del nuovo percorso che ho intrapreso. Darò il mio contributo affinchè i diritti e la giustizia possano affermarsi sempre di più e chi soffre possa utilizzarmi come strumento per far sentire la sua voce.

E’ per questo che, con grande serenità, mi dimetto dall’Ordine giudiziario, dal lavoro più bello che avrei potuto fare, nella consapevolezza che non mi sarebbe più consentito esercitarlo dopo il mandato politico. Lo faccio con un ulteriore impegno: quello di fare in modo che ciò che è successo a me non accada mai più a nessuno e che tanti giovani indossino la toga non con la mentalità burocratica e conformista magistralmente descritta da Piero Calamandrei nel secolo scorso, come vorrebbe il sistema di potere consolidato, ma con la Costituzione della Repubblica nel cuore e nella mente.

Luigi de Magistris Roma, 28 settembre 2009

MINISTRO GELMINI, LE SPIEGO PERCHE’ IL PROBLEMA E’ LEI.

LA LETTERA DI PIERGIORGIO ODIFREDDI

Signor ministro, leggo (o meglio, mi hanno segnalato di lettere) su Il Giornale di famiglia del presidente del Consiglio che sabato scorso, alla sedicente Festa della Libertà organizzata dall’altrettanto sedicente Popolo della Libertà al Palalido di Milano, moderata (si da per dire) dal condirettore dello stesso giornale, lei ha tuonato contro "l’intolleranza antisemita del superfluo matematico Piergiorgio Odifreddi, ex docente baby pensionato", che ha osato restituire il Premio Peano "quest’ anno assegnato a Giorgio Israel, ai suoi occhi colpevole di sionismo, ma soprattutto di essere consulente del ministro". Lei ha poi continuato, con stile e in punta di fioretto, dicendo che "gli imbecilli non mancano mai", e che "le parole di Odifreddi denotano razzismo, incapacità al confronto e stupidità". E ha terminato allargando il discorso, assimilando il mio gesto alla "modalità tipica della nostra sinistra, quella di combattere il governo e Silvio Berlusconi a qualunque prezzo, a costo di insultare allo stesso tempo la maggioranza dei cittadini che lo votano". Mi permetta di rispondere nel merito alle accuse che mi rivolge, fingendo che esse siano in buona fede e dettate dall’ignoranza dei fatti. Naturalmente non posso dir nulla sulla mia imbecillità e stupidità, e mi fido del suo giudizio: in fondo, lei è un valente avvocato che ha superato una difficile abilitazione a Reggio Calabria, dopo una laurea nella vicina Brescia e un precedente passaggio da un liceo pubblico a uno privato, mentre io sono soltanto un modesto docente universitario che ha vinto facili concorsi da assistente, associato e ordinario nell’Università pre-Gelmini, ed è poi andato in pensione dopo 38 anni e mezzo di servizio (e non dopo una sola legislatura in Parlamento). Ma non sono questi i motivi per cui io ritengo che la collaborazione con lei si configuri come una colpa, né penso affatto che il governo di cui lei fa parte sia da combattere a qualunque prezzo: riconosco anzi, benché dispiaciuto e vergognato, che Silvio Berlusconi abbia ricevuto una forte maggioranza e sia dunque democraticamente in diritto di governare il paese. Addirittura, pensi un po’, vorrei che a farlo cadere fosse un giudizio elettorale sul suo operato politico, e non una campagna giornalistica sulle sue scopate con le escort: soprattutto quando questa campagna è spalleggiata dall’Avvenire, che ha usato ben altri pesi e misure per la pedofilia ecclesiastica e per la sua copertura da parte dell’allora cardinal Ratzinger. Il mio problema è proprio lei, signor ministro. E non tanto, o non solo, perchè ricopre una carica per la quale non ha la minima competenza, ma anzitutto e soprattutto per innominabili motivazioni che hanno portato lei e la sua collega Mara Carfagna alla carica che ricoprite. Come vede, gli elettori che votano il suo partito o la sua coalizione non c’entrano proprio nulla, perchè non hanno eletto i ministri: c’entra invece la necessità etica di non collaborare con chi costituisce,m nella Roma di oggi, l’analogo dei cavalli-senatori di Caligola nella Roma di ieri. Il professor Israel è naturalmente liberissimo di pensarla diversamente, ma lo sono anch’io di dissentire, e di non voler condividere con lui l’albo d’oro di un premio. Se questa mia dissociazione vi turba, è perché non conoscete né la democrazia né la storia, anche scientifica. Ad esempio, quando negli anni del maccartismo Edward Teller collaborò con la commissione governativa che revocò l’autorizzazione di sicurezza nucleare a Robert Oppenheimer, la quasi totalità dei colleghi si dissociò da lui e gli tolse il saluto, ostracizzandolo della comunità dei fisici: in quell’occasione avreste attaccato pure loro, come ora attaccate me? La domanda è retorica, ma l’esempio non è campato in aria: Teller era infatti uno scienziato guerrafondaio e iperconservatore, della stessa pasta del Von Neumann al quale Israel ha dedicato la compiacente biografia che ha appunto ricevuto il Premio Peano. Ma ci sono altri motivi per dissociarsi da lui, oltre a quelli già accennati. Perchè, come ho detto espressamente nella mia lettera di rinuncia al premio, "le posizioni espresse da Israel in ambito politico, culturale e accademico sul suo blog, sul sito Informazione Corretta e in ripetuti interventi su Il Foglio e Il Giornale trascendono i limiti della normale dialettica, e si configurano come un pensiero fondamentalista col quale non intendo essere associato intellettualmente". Capisco ovviamente che quei due giornali, insieme a Libero e all’ala destra del Corriere, si siano sentiti chiamati in causa e abbiano immediatamente fatto quadrato intorno a Israel e contro di me. Ma mi sembra singolare che proprio da loro, e da lei, vengano accuse di razzismo e di intolleranza: non siete forse voi, la vostra coalizione e il vostro governo, a fomentare l’odio nei confronti degli immigrati in generale, e degli islamici in particolare, con parole e azioni ben più violente della democratica e innocua restituzione di un premio al mittente?
Capisco anche, ma non accetto di giocarlo con voi, il subdolo gioco dell’equiparazione della critica a un ebreo come Israel, a un sito sionista come Informazione Corretta, o a un governo israeliano come quello di Netanyau, con l’antisemitismo. E non lo accetto proprio perchè non sono razzista, e dunque non giudico a priori in base alla "razza"(ammesso che la parola abbia senso), ma a posteriori in base ai fatti: i razzisti veri sono altri, e cioè coloro per i quali tutti gli ebrei sono democratici, e tutti gli islamici fondamentalisti. E invece ci sono ebrei fondamentalisti e islamici democratici: negarlo significa fare di ogni erba un fascio, e a me i fasci non piacciono, di qualunque "razza" siano. Mi piacciono invece molti ebrei democratici, da Amos Luzzatto a Moni Ovadia a Noam Chomsky, dei quali sono amico, e sto benissimo anche con ebrei ortodossi come il premio Nobel per l’economia Robert Aumann. Sono i fondamentalisti che non mi piacciono, e se questo significa non essere simpatico a certa gente, compresa lei, sopravviverò bene ugualmente. Anzi, molto meglio che se fossi simpatico a loro e a lei.

in Il Fatto Quotidiano
01.10.2009

mercoledì 30 settembre 2009

Tutte le carte di Don Vito su Berlusconi Ecco le lettere in cui il boss mafioso chiede al Cavaliere di mettergli a disposizione una rete tv

Di Vincenzo Vasile

Il Fatto Quotidiano

30.09.2009


Le pagine che seguono sono state appena estromesse dal processo d’appello in corso contro Marcello Dell’Utri, perchè la Corte di Palermo ha giudicato “confuse e contraddittorie” le dichiarazioni sul conto dello stesso senatore e su Berlusconi rese – nell’ambito di un’altra inchiesta – alla Procura di Palermo da Massimo Ciancimino, il figlio di Vito, ex-sindaco mafioso, che nel 2002 si portò nella tomba molti segreti su stragi e trattative. Il rampollo quarantacinquenne di don VIto comparve il 30 giugno e il primo luglio scorso, accompagnato dai suoi legali, davanti ai pm della Dda di Palermo, Antonino Ingroia e Antonino di Matteo. Di impappinò, chiese tempo per consultare gli avvocati. Ma poi ritrattò alcune mezze bugie e omissioni, che aveva inanellato nella prima fase, e fornì infine una sua lucida ricostruzione, che forma un affresco inquietante dei mesi dal 1991 al 1993, la fase delle bombe, dei massacri e dei negoziati occulti. Apprensione che pesa su Ciancimino jr.: se ha cincischiato, è perchè – così spiega ai magistrati – “se dobbiamo parlare di questo argomento, io ho tanta paura”. Questo fatto mi fa molta paura, perchè” si riferisce “al periodo stragista di mio padre”, e perchè “è un discorso cento volte più grande di me”. “Ho un terrore folle”. Il primo shock avviene ad apertura di interrogatorio, il 30 giugno. I magistrati mostrano all’”imputato di reato connesso”. Massimo Ciancimino, un documento che è stato sequestrato qualche tempo fa presso un magazzino della usa azienda di divani. E’ la metà di un foglio formato A4, sembrerebbe la seconda metà di un manoscritto vergato su un block notes. C’è scritto: “Posizione politica. Intendo portare il mio contributo che non sarà di poco, perchè questo triste evento non ne abbia a verificarsi. Sono convinto che questo evento, onorevole Berlusconi, vorrà mettere a disposizione una delle sue rete televisive”. E’ la seconda metà di uno scritto, come mai? E l’ha mai visto prima il giovane Ciancimino? Di chi è la grafia? Qualcuno deve avere strappato il primo foglio, certo che l’ho già visto nella sua versione integrale – risponde Ciancimino – l’abbiamo conservato insieme a mio padre scollando un foglio nella controcopertina di un volume della Treccani nella casa di via san Sebastianello a Roma, sì l’ha scritto mio padre quel testo, chissà, nel 1999...

Dopo un’ora di interrogatorio Massimo Ciancimino chiede un rinvio all’indomani, promette di portare altre carte, e di spiegare meglio come mai in quell’appunto si parli di un “triste evento”, che sembra essere la minaccia di Cosa Nostra di sequestrare un figlio di Berlusconi. A le date non quadrano, particolari non combaciano. Solo l’indomani Ciancimino spiega di essere stato “impaurito” il giorno prima, non solo dalla stranezza di un documento trovato monco, ma perchè era “convinto che questo documento non venisse mai fuori: mi avete trovato non solo impreparato , più che altro impaurito, difatti come avete notato all’inizio ho addirittura detto che era la grafia di mio padre....”. macchè, non è né la grafia, né la prosa di Ciancimino, che non faceva errori di sintassi e grammatica. Si tratta di un “pizzino” di Bernardo Provenzano, che qualificandosi come il “signor Lo Verde” usava durante la latitanza il suo compaesano corleonese come mediatore in un complesso giro. Il pizzino sui “tristi eventi” fa parte di un gruppo di almeno tre lettere: la prima che risale al 1991-1992, è precedente alla redazione del famoso “papello” con cui Riina pretendeva la fine del carcere duro e misure draconiane contro i pentiti, fu ritirata a San Vito Lo Capo, in provincia di Trapani, “una busta chiusa, non incollata”, nella villa di un braccio destro di Provenzano, Vito Lipari; un’altra in un’auto parcheggiata sotto lo studio di un medico e affidatagli personalmente da Provenzano; e una terza assieme a un pacco con 50 milioni, che Massimo poi distribuì ai fratelli. La lettera esibita dai pm durante l’interrogatorio dovrebbe essere, appunto, la terza. E’ indirizzata a Ciancimino sr., che in quel momento si trova in carcere, le altre due sono per il “dottor Marcello Dell’Utri”. Perchè Ciancimino veniva interpellato così spesso, sebbene agli arresti domiciliari e poi in carcere? “Per dare un parere”. Ciancimino era contrario a dar seguito alle minacce: sia le avvisaglie di stragi, sia la sfida dell’eliminazione del figlio del Cavaliere. “Io chiedevo a mio padre: perchè? Che c’entra il figlio?”, e papà conveniva che era meglio “toccargli il polso, tastarici u pusu” a Berlusconi, e in genere “alle persone”. “Nel senso di scuoterle”, cioè esercitare pressioni. Ma non passare al “braccio forte”. “Si preoccupava di non passare mai alla seconda fase”. “Mio padre era per la non attuazione delle minacce”, sebbene “il soggetto fosse irriconoscente” per certi favori, “certi vantaggi avuti, certe robe varie” che aveva ricevuto e non aveva ricambiato. Quale “soggetto”? Il dottor Berlusconi. Poi il padre si confida con Massimo: “era non dico rassegnato”, aveva un progetto per recuperare “un patrimonio elettorale che si stava disperdendo”, era come un “idealista”. Ma si sentì scaricato, proprio lui che “voleva essere l’uomo della chiusura, come il salvatore, che doveva siglare un nuovo patto”.

martedì 29 settembre 2009

La vera storia della marjuana


http://www.arcoiris.tv/modules.php?name=Flash&d_op=getit&id=11612

Santa Mafia - Petra Reski

http://www.nuovimondi.info/Article2281.html

dove poteva accadere un edificante episodio del genere, se non in Sicilia?

L'Akragas vince e il presidente inneggia al boss. Il questore sequestra il campo


Storie di calcio e di mafia. Il presidente della squadra dell'Akragas aveva inneggiato al boss dopo la vittoria. E ora il questore gli ha tolto il campo. Non potrà giocare più le partite del torneo di Eccellenza in casa. Il questore di Agrigento, Girolamo Di Fazio, ha ritirato per problemi di ordine pubblico la «licenza» di polizia che era stata concessa al presidente della società di calcio, Gioacchino Sferrazza, per potere svolgere «manifestazioni di pubblico spettacolo» come sono le gare sportive. «Le licenze di polizia - ha spiegato il questore Di Fazio - sono rilasciate "ad personam" e la storia personale del presidente dell'Akragas è cambiata dopo le sue dichiarazioni e quindi l'ho revocata».

L a vicenda inizia domenica quando Gioacchino Sferrazza si presenta ai giornalisti, dopo il successo per 5 a 0 contro lo Sporting Arenella (partita del campionato di Eccellenza) e, dallo stadio «Esseneto» di Agrigento, lancia il suo messaggio trasmesso in diretta da un'emittente radiofonica e dedica la vittoria della sua squadra al presunto capo mafia di Palma di Montechiaro Nicola Ribisi, arrestato il 17 settembre scorso dalla polizia. I cronisti, per la vwerità, glielo hanno detto che la dedica era "fuori luogo", ma per protesta, Sferrazza ha imposto ai giocatori e all'allenatore il silenzio stampa.

Quando ha capito di aver sbagliato era troppo tardi: «Ho dedicato la vittoria all' amico Nicola, non al boss mafioso». «Io - ha puntualizzato il presidente - non entro nel merito se sia colpevole o innocente: fino a quando non ci si sarà una condanna Nicola per me resta un amico che fino a dieci giorni fa era con noi sempre allo stadio».

28 settembre 2009-L'Unità

sabato 26 settembre 2009

"Cabriolet" e "Sistema", indagini sulla criminalità Barcellonese.

Operazione “Cabriolet”.


Nicola D'Onofrio, 38 anni, originario di Napoli e residente a Barcellona Pozzo di Gotto si è spontaneamene consegnato in caserma ieri pomeriggio. D'Onofrio era destinatario di un provvedimento di misure cauterali in carcere, emesso dal Tribunale di Messina anche nei confronti di Michele Caliri, 34enne, messinese ma anch'egli residente a Barcellona Pozzo di Gotto. Quest'ultimo è stato rintracciato a Saronno etratto in arresto dalla Guardia di Finanza questa mattina.




L’inchiesta “Sistema”


Le indagini iniziarono quando Maurizio Marchetta, imprenditore ed ex vice presidente del consiglio comunale, svelò il sistema di assegnazione degli appalti così come funzionava a Barcellona, compresi i nomi di coloro ai quali si pagava la protezione, il pizzo.

Ebbene le indagini preliminari si sono concluse, e di questo sono stati avvisati ad Agrigento Licata Vincenzo e Mortellaro Domenico, a Catania il pregiudicato Castro Alfio Giuseppe in quanto legati alla mafia barcellonese.

Le indagini avevano portato agli arresti di tre personaggi "famosi" a Barcellona per la loro carriera mafiosa, responsabili della riscossione di un pizzo del 3-4% sugli appalti pubblici assegnati tra il 1998 e il 2008:

D'Amico Carmelo, supplente di Gullotti Giuseppe e Di Salvo Sam

Bisognano Carmelo, capo dei mazzaroti

Mazzagatti Pietro, attivo a Santa Lucia del Mela con il proprio gruppo detto degli "scozzesi".


questo avviene nel CIe (centro di identificazione ed espulsione) di Gradisca, Udine, Italia...

Narcisismi di destra, antipatie di sinistra

di Massimo Fini, in Il Fatto quotidiano, 26.09.2009

Come mai tanta brava gente, pur capendo benissimo
chi è Berlusconi, continua a dargli la preferenza?
Perché la sinistra è odiosa. Ha una perenne supercigliosità,
una puzzetta sotto il naso, un guardar dall'alto in basso
che le deriva dalla tradizione del vecchio Pci, solo che
quando questo atteggiamento era di Amendola o di altri
comunisti dell'epoca poteva anche avere una legittimità e
incutere rispetto, negli stracciaculi di oggi suscita solo
fa s t i d i o .
L' attuale destra, che per la verità si fa fatica a chiamar
tale perché la destra è una cosa seria, è molto meno
spocchiosa. A cominciare dal “lider maximo”. Ho un paio
di ricordi in proposito. Ero a San Siro, con mio figlio, a
vedere Milan-Toro. Poiché il Milan praticava una politica
di abbonamenti a tappeto avrei dovuto andare in curva,
ma con un bambino di dieci anni non me l'ero sentita di
portarlo fra gli assassini. Così ero finito fra gli stronzi della
Tribuna d'Onore. Durante l'intervallo molti importanti
giornalisti - mi ricordo Piero Ostellino - si erano accalcati
attorno a Berlusconi, vezzeggiandolo con alti squittii. La
scena si era ripetuta alla fine della partita. Io stavo
uscendo dallo stadio con mio figlio. Berlusconi mollò il
manipolo di leccaculi e venne dritto verso di me: «L'ho
vista ieri al Costanzo Show». «Ah, ma vede proprio tutto,
presidente» risposi e me ne andai. Sapeva benissimo che
ero un antipatizzante, ma per il suo narcisismo, per la sua
inesausta ansia di piacere a tutti, per l'incapacità
antropologica di concepire che si possa pensarla
diversamente da lui, aveva cercato di sedurmi. Non ci era
riuscito. Ma almeno ci aveva provato. Aveva dimostrato
attenzione per la mia persona. E lo stesso mi è capitato le
volte che ho incrociato Fedele Confalonieri che, nella
coppia, ha la parte del “poliziotto buono”. Se incontro, a
qualche trasmissione, Pecoraro Scanio, dicesi Pecoraro
Scanio, costui mi passa attraverso, non mi vede neanche.
Pamela Villoresi è una mia cara amica e quando si trova
a Milano è ospite da me. È la classica “suorina di
s i n i s t ra ” - in più di vent'anni di conoscenza non mi è
riuscito di convertirla a sentimenti più sobri - e alla sinistra,
per pura passione ideale, ha reso parecchi servigi gratuiti.
Poiché oltre a far l'attrice organizza festival di
teatro è costretta ad avere rapporti con le
Istituzioni. Bene, l'ho vista cercare di
contattare Rutelli, dicesi Rutelli, e
passare per una trafila esasperante,
senza riuscirci. Di recente mi ha
raccontato, un po’ sbalordita e un po'
lusingata: «Sai, l'altro giorno ho
telefonato a Gianni Letta. Non mi ha
lasciato quasi aprir bocca: “Signora che
piacere. Io l'ammiro moltissimo.
Vediamoci quando vuole, anche subito”».
Sarà l' «inferiority complex» che
questa destra nutre nei
confronti del mondo
della cultura, ma così
è. Poi magari fanno
leggi che segano
cultura, teatro,
scuola. Ma, sul piano
personale, la sinistra
riesce ad essere più
antipatica di questi
mezzi manigoldi. E ce
ne vuole

venerdì 25 settembre 2009

Video che smentisce le dichiarazioni della Santanchè sul proprio ferimento

http://it.peacereporter.net/videogallery/video/12048
Smentita la bugiarda Santanchè.

La prima puntata di Annozero

Leggo questa mattina un articolo a firma di Albero Giannino su IMGPress, dal titolo SANTORO, TRAVAGLIO E L'OBIETTIVO DI ANNOZERO: FARE NERO SILVIO BERLUSCONI (clicca qui)
Andate pure a leggere l'articolo, così avrete un lampante esempio di quali, di questi tempi, siano gli argomenti di chi vorrebbe difendere l'indifendibile Premier.

"Michele Santoro, che è fiero, gonfio e tronfio della prima puntata di Annozero con Marco Travaglio e Vauro, che si afferma col 23% di share e 5 milioni e 592 mila telespettatori, ora, non parla più di libertà di informazione in pericolo in Italia."
Michele Santoro ha tutte le ragioni per essere fiero, gonfio e tronfio, dal momento che nonostante tutti i contrasti è riuscito a superare di ben 5 punti lo share ottenuto da Berlusconi a Porta a Porta. E Santoro ha sempre posto il problema di censura e non-libertà di stampa in Italia, e di certo continuerà a farlo...certo, forse il prof. Giannino si aspettava una dichiarazione in notturna da parte di Santoro....

"E' contento l'ex maoista da Salerno. Ha incassato successo, popolarità e un bel contratto in Rai per se stesso, per Travaglio (a cui la vita sorride con diritti d'autore dei suoi libri, assunzione a IL FATTO, e contratto ad Annozero ndr) e per il vignettista Vauro."
Notare come il lavoro legale venga indicato come qualcosa di oscuro e sospetto...Capiamo che al giorno d'oggi ottenere un contratto in Rai sia una conquista da guardare pensando a chissà quali intrighi, ma mi sembra che non ci sia niente di illegale nè di male nell'incassare diritti d'autore. Inoltre fino a lunedì non ci sarà alcun contratto firmato per Travaglio, per cui non so da dove Giannino ricavi l'informazione di un contratto già ottenuto. Per quanto riguarda Il Fatto Quotidiano Marco Travaglio è compartecipe nella società, non riceverà finanziamenti pubblici (sia perchè non li chiederà, sia perchè i finanziamenti ai giornali sono "diretti" da Gianni Letta....), per cui il suo stipendio sarà deciso solo dai lettori. Adesso mi piacerebbe sapere da Alberto Giannino cosa ci vede di male nell'essere pagato per il proprio lavoro.

"Peccato che ad Annozero abbiamo visto l'esatto contrario di quello che lamenta pubblicamente Santoro. Abbiamo visto un Presidente del Consiglio messo alla berlina, ridicolizzato, e la cui immagine pubblica ne esce malissimo in una conferenza stampa internazionale,"
Ecco, questo è l'argomento più in voga...se Santoro può fare un programma allora c'è libertà di stampa....per fortuna che c'era Facci a raccontarci che la censura l'ha subita anche lui, giornalista certo non di destra, al quale è stato vietato al Giornale di scrivere riguardo il ministro Mara Carfagna... (vedi: http://www.youtube.com/watch?v=YMCMvhfFvXY)
E poi, vai a vedere che la colpa della figura ridicola di Berlusconi alla conferenza con Zapatero è stata tutta di Santoro...e già, perchè è Santoro a scrivere i discorsi del Premier, ad ispirare quella sua filosofia di vita misogina tipica di chi ha evidentemente avuto sempre dei problemi nei rapporti col sesso debole....
E diciamoci la verità, chi, chi non ha riso almeno per dieci secondi all'autoelezione a miglior presidente del consiglio degli ultimi 150 anni???? Salvo poi capire la portata tragica della frase...detta da Berlusconi, e non da Santoro....

"abbiamo visto il Brunetta pensiero non perchè fosse condivisibile dagli amici di Santoro ma perchè egli è il nuovo nemico della sinistra; nemico che vuole colpire i parassiti e vuole chiudere i rubinetti dei finanziamenti alla cultura, al cinema, al teatro. Tutti settori che la sinistra coltiva da oltre 50 anni."
Queste parole sono, in qualche modo, un autogol. Abbiamo visto Brunetta parlare. Il motivo per cui è stato mostrato ha poca importanza...quelle parole sono state dette, e non hanno alcun tipo di giustificazione. E se è vero che cultura, cinema e teatro sono settori coltivati dalla sinistra....ci sarà un motivo, o è una colpa anche quella? Meglio nessuna cultura e nessun cinema e nessun teatro....giusto perchè LORO non sono anti-italiani...

"Abbiamo visto ad Annozero una prostituta o escort Patrizia D'Addario che ha sparato a zero contro Berlusconi che gli avrebbe promesso aiuti in cambio di prestazioni sessuali."
Noi abbiamo visto di peggio: abbiamo visto in Puglia una prostituta o escort Patrizia d'Addario candidata nelle li­ste di «La Puglia prima di tutto», schieramento inse­rito nel Popolo della Libertà, alle ultime elezioni comunali di Bari....

"E ancora: è stato intervistato il vecchio Giorgio Bocca che si scaglia contro l'attuale regime che sarebbe, a suo dire, poliziesco e che, quindi, ha paura. Come se le schedature in Italia le avesse inventate Berlusconi, e non già il Sifar, De Lorenzo, e la P2 di Gelli."
Ma come mai l'aggettivo "vecchio" non viene mai associato anche a Berlusconi? E nella P2 di Gelli, sbaglio o c'è anche una certa tessera con certo numero...1816 a nome di un certo Silvio....

"Santoro, poi, ha scandagliato un suo giornalista per mettere in difficoltà Feltri che ha osato pubblicare il casellario giudiziale di Dino Boffo da cui si evince che è stato condannato per molestie."
SCANDAGLIATO???????Ma come parla Giannino? Evidentemente il suo lapsus è più avanti di lui, dal momento che scandagliare significa indagare, conoscere a fondo....e per un giornalista non è poi un verbo tanto incompatibile....
Ad ogni modo, Feltri messo in difficoltà non si può sentire....

"Si, ma nessuno dice che la donna molestata da Boffo (la figlia del direttore della Radio diocesana di Terni ndr) ha perso il fidanzato, che la loro unione si è rotta e che oggi è single. Per loro, solo Boffo, ha famiglia. Per me, invece, anche la donna molestata dal Boffo, ha famiglia. "
Appunto...e a questa famiglia ci doveva pensare Santoro? O Feltri che ha pubblicato questa notizia di nessuna rilevanza, dal momento che il contenzioso si era già risolto per vie legali?

"L'accostamento tra Tarantini e Berlusconi serve a dare la mazzata finale al primo ministro che sarebbe un uomo che si accompagna con un pregiudicato e a cui telefona dieci volte al giorno. Non importa se il Procuratore di Bari ha detto che nei confronti di Berlusconi non c'è nulla di penalmente perseguibile. Ma il compito di Travaglio è quelllo di assestare una pugnalata a Berlusconi con la scusa di parlare del profilo penale di Tarantini."
A parte il fatto che nei confronti di Berlusconi non ci sarà nulla di penalmente perseguibile ancora per qualche anno, grazie al Lodo Alfano....
Anche se non perseguibile penalmente, lo è moralmente, poichè Berlusconi si accompagnava davvero a Tarantini, e se adesso se ne vergogna è già un passo avanti...Inoltre l'attacco non è stato sferrato solo a Berlusconi, e se il prof. Giannino ha ascoltato fino alla fine l'intervento di Travaglio lo saprà benissimo.

"Ha invitato in trasmissione il leader principale dell'opposizione Franceschini, segretario generale del PD, per intimidire Masi e gli alti dirigenti RAI."
Ho capito male, o Franceschini sarebbe una minaccia per Masi e la Rai? Quindi adesso invitare un segretario di partito significa intimidire....o in particolare invitare Franceschini? O il leader dell'opposizione?

"Arrivederci alla prossima puntata. Un argomento a caso. La mafia. Travaglio declamerà i versi su Dell'Utri e quel Mangano che lavorava come stalliere in casa Berlusconi. Altro azzoppamento per il premier e sue probabili dimissioni da primo ministro."
Non capisco come si permette Santoro di parlare di Mafia! Ma quale mafia? La mafia non esiste! E poi che colpa ha Berlusconi se Dell'Utri non lo informò sul fatto che Mangano di primo mestiere non facesse proprio lo stalliere??? Anche se, a dire il vero, Mangano è lo scandalo minimo...

Arrivederci alla prossima puntata.

giovedì 24 settembre 2009

Nostalgici dei nazisti con i soldi del Campidoglio Bando del Comune di Roma per le attività culturali In graduatoria un gruppo legato alla Fondazione

di Silvia D’Onghia
in Il fatto quotidiano, 24.09.2009

Ora i sostenitori del nazismo
potrebbero ricevere
soldi pubblici. Ci sono anche
gli escursionisti che
partecipano a incontri sulle SS;
infatti, tra i primi nomi di una
graduatoria pubblicata a metà
agosto sul sito del Campidoglio:
quella del bando della presidenza
del Consiglio comunale per
assegnare due milioni e mezzo
di euro in attività culturali, folkloristiche
e sportive. Al sesto
posto, con 70 punti, c'è il Gruppo
Escursionistico Orientamenti,
associazione culturale
che fa parte di “Raido”, una comunità
militante ispirata alla destra
radicale che, tra le tante attività,
ha organizzato per il 26
settembre un incontro dal titolo
“Volontari. L'epopea dei
combattenti europei nelle Waffen
SS”. L'iniziativa, cui parteciperanno
lo storico Massimiliano
Afiero e il combattente SS
Leibstandarte Ferdinando Gandini
(si legge nel volantino), è
organizzata insieme alla Fondazione
RSI, che si occupa di divulgare
documenti e studi storici
sulla Repubblica sociale italiana,
il fascismo e la seconda
guerra mondiale.
Nella graduatoria a 58 punti troviamo
poi l'associazione di promozione
sociale “Casa Pound
Italia” (secondo il sindaco Alemanno,
sarebbe stato Francesco
Storace a chiedere questo finanziamento
al consiglio comunale,
che starebbe però ancora
valutando). Ma c'è pure chi
rievoca la Roma antica: l'associazione
culturale “Fons perennis”,
che con 69 punti si è aggiudicata
un progetto sulla ricostruzione
del rapporto tra il re
Numa e la ninfa Egeria. A pari
merito con Casa Pound si sono
classificati i gladiatori dell'associazione
culturale S.P.Q.R., direttamente
in costume. Ci sono
poi alcuni enti che non trovano
spazio su internet, come l'associazione
“Nous”, o “Azione legale”,
o “MiglioriAMO Roma”.
Altre sigle sono addirittura irreperibili,
visto che i loro numeri
telefonici pubblicati sul web sono
inesistenti oppure i loro siti
risultano infettati da virus che
rimandano a indirizzi porno.
72 nomi, di cui si conoscono
soltanto il numero di protocollo
in entrata, la denominazione,
la ragione sociale e il punteggio.
Nessuno sembra saperne di
più. E soprattutto, dopo oltre
sette mesi dalla pubblicazione
del bando (18 febbraio 2009) e
sei dalla data di scadenza (16
marzo), i contributi non sono
ancora stati erogati.
Dallo staff del presidente
del Consiglio, Marco Pomarici,
rispondono che si
tratta di una pura faccenda
tecnica: “In ogni caso abbiamo
rispettato la legge sulla trasparenza,
è sufficiente quello
che è stato pubblicato”. Nell'ufficio
competente, non sanno
essere più precisi: “I risultati
non sono ancora stati ufficializzati
- si affrettano a rispondere -
non ci sono notizie certe”. La
persona che ci risponde è stata
membro della commissione
tecnica formata da “dipendenti
esperti dell'Amministrazione
c o mu n a l e ” - come si legge sul
documento - che ha dovuto esa-
SOCCORSO NERO
minare le buste presentate. Tra
loro, il capo segreteria della presidenza,
il capo segreteria dell'assessore
competente, un impiegato
del dipartimento Cultura,
un rappresentante della Polizia
municipale, due funzionari
dell'ufficio del Consiglio comunale.
Altri due membri si sono
dimessi prima ancora di iniziare
la valutazione. La stessa commissione,
ai tempi del sindaco
Rutelli, era formata, tra gli altri,
da Renzo Arbore, Gillo Pontecorvo
e Gianni Minà.
Neanche alcune delle associazioni
presenti in graduatoria tra
gli ultimi posti, con 54 punti,
sanno se riceveranno contributi.
E' il caso, per esempio, del
“VII Gruppo Onlus”, che fa parte
della Protezione civile: il suo
progetto (maggiore sicurezza
nelle palestre) sarebbe dovuto
partire il prossimo 18 ottobre,
ma dal Campidoglio è arrivato
un altolà prim'ancora di qualunque
comunicazione scritta.
C'è poi un discorso legato alla
trasparenza. Nelle sei pagine
del documento, ancora presenti
sul sito del Comune, si legge
che le iniziative dovranno essere
realizzate in luoghi adeguati e
dirette ad accrescere le offerte
culturali per la cittadinanza amministrata,
oltre a dover prevedere
l'ingresso gratuito. Massimo
100 punti da assegnare: 40
per la realizzazione del progetto,
15 per il curriculum dell'ente,
10 per la comunicazione, 10
per proposte di iniziative collaterali
e 25 per l'offerta economica.
Finanziamento massimo per
ogni progetto: 85mila euro.
Il 6 agosto, a ridosso della pubblicazione
della graduatoria,
l'Associazione per la tutela delle
istituzioni e dei cittadini romani
(Atir) ha inviato una lettera
a Pomarici, lamentando la
mancanza di trasparenza nell'erogazione
dei contributi. Secondo
il presidente dell'Atir,
Giuseppe Lo Mastro, la commissione
avrebbe dovuto predeterminare
in maniera più approfondita
i criteri per il punteggio.
“Ne consegue che la discrezionalità
nell’assegnazione
è tale da non incontrare reali limiti
e possibilità di comparazione
tra i diversi concorrenti”. Si
ribellano anche i presidenti dei
Municipi romani (cioè le circoscrizioni)
amministrati dal centrosinistra,
che accusano il Consiglio
di aver loro sottratto fondi
per “una colossale operazione
clientelare come a Roma non si
vedeva da tempo”.