sabato 10 ottobre 2009

A Fondi vince la Mafia

IL GOVERNO NON VUOLE SCIOGLIERE IL COMUNE


I boss vincono. Il Comune di Fondi non viene sciolto per mafia. Si commissaria. Perché sindaco e assessori, tutti del Pdl, una decina di giorni fa si sono dimessi spontaneamente, come si fa dopo una normale crisi politica. Lo ha deciso il governo, e il ministro Maroni ha sbugiardato se stesso: “L’amministrazione comunale non c’è più. Il problema è stato risolto ho proposto di scegliere la via della democrazia. Si vota a marzo”. Buttando a mare il lavoro del prefetto di Latina Bruno Frattasi e stracciando le indagini della procura antimafia di Roma. Eppure tutti a Palazzo Chigi sanno che a Fondi, sede del più importante mercato ortofrutticolo d'Italia, comanda la mafia. Ha assessori a disposizione, consiglieri, funzionari comunali, finanche uomini della polizia municipale. Conquista appalti, controlla le delibere che venivano sottoposte al vaglio del boss di turno prima di essere portate in consiglio. Ma il Comune non si scioglie. Non sono bastate due relazioni del Prefetto Frattasi, due inchieste giudiziarie, diciassette arresti eccellenti, tre consigli dei ministri. La mafia non esiste nel regno di Claudio Fazzone. Un ex poliziotto già autista di Nicola Mancino, poi consigliere regionale di Forza Italia, infine senatore e grande collettore di voti al Pdl. Cinquantamila, per la precisione, quanti ne bastano per avere in consiglio dei ministri appoggi eccellenti: Giorgia Meloni, assidua frequentatrice del Basso Pontino; Renato Brunetta, cognato del sindaco di Cisterna di Latina Antonello Merolla (al quale il senatore Fazzone ha portato centinaia di voti); Altero Matteoli, in ottimi rapporti con i consiglieri Pdl di Aprilia.

Grazie alle loro pressioni la decisione di sciogliere il Comune per mafia è stata rinviata per ben due volte in Consiglio dei ministri. E sarebbero stati loro a suggerire al sindaco Luigi Parisella di dimettersi per evitare un commissariamento speciale. Tutti e tre e l'intero governo hanno di fatto sbugiardato il ministro dell'Interno Roberto Maroni. Che il 18 settembre scorso ha presentato al Capo dello Stato una relazione durissima chiedendo lo scioglimento per mafia del Comune. “L'ingerenza della criminalità organizzata”, si legge, è pesantissima, tale da condizionare tutte le decisioni dell'amministrazione. A Fondi comandano le famiglie Tripodo- Trani. 'Ndrangheta. Ma anche i clan della camorra, casalesi, in primo luogo. La loro penetrazione è stata favorita da “rapporti di parentela, frequentazione, contiguità” di amministratori e dipendenti comunali con “soggetti vicini o organici alla criminalità organizzata”. Carmelo e Venanzio Tripodo, figli del vecchio boss calabrese Mico, e i loro alleati sono i veri padroni di Fondi. Dove, scrive sempre Maroni, la normativa antimafia e antiriciclaggio non esiste quando si tratta di appalti pubblici. Dove anche la costruzione della nuova faraoinca sede comunale è stata fatta senza rispettare alcuna norma sulla trasparenza e le leggi antimafia. “L'associazione temporanea di imprese aggiudicataria dei lavori – si legge nella relazione del ministro dell'Interno – è risultata partecipata da una impresa coinvolta in un procedimento penale con indagati per gravi reati tra cui quello di associazione di tipo mafioso”.

Esulta il senatore Fazzone: “Oggi è stata fatta giustizia, ora la parola passa al popolo sovrano che potrà finalmente scegliere da chi farsi governare”. E ha ragione, perché grazie all'escamotage delle dimissioni, sindaco, assessori e consiglieri potranno ricandidarsi. La mafia è felice, i politici che con i fratelli Tripodo erano pappa e ciccia pure. E il senatore Fazzone, insieme al sindaco Parisella potranno continuare a fare affari. Come quello della Silo, un capannone industriale che ha ricevuto 2 miliardi di lire di finanziamento pubblico. Non ha mai prodotto alcunché, ma i terreni intorno hanno subito forti incrementi di valore grazie alle varianti al Prg. È grazie ai rapporti con la politica, scrivono i magistrati della procura antimafia di Roma che “i Tripodo riuscivano a radicarsi e a radicare i propri affari in un contesto territoriale non solo distante centinaia di chilometri dalle zone di origine, ma soprattutto riuscivano a ricreare meccanismi criminali propri dei contesti mafiosi”. Fondi come un paese dell'Aspromonte, dove vincono violenza, omertà e complicità eccellenti. Grazie alle quali Vincenzo Giarruzzo, “legato a Salvatore La Rosa esponente del clan Bellocco-Pesce di Rosarno e a Massimo di Fazio, socio e grande amico dell’ex assessore Izzi”, ha potuto costruire una vera e propria cittadina abusiva, con “concessioni totalmente illegittime”, visto che sull’area era stata già sfruttata tutta la volumetria edificabile. “In quel periodo non ero completamente lucido - fa mettere a verbale l’ex assessore Izzi, arrestato in un recente blitz - facevo uso di cocaina”. Chi erano I fratelli Tripodo lo racconta uno dei pentiti storici della mafia calabrese, Giacomo Lauro. “Trafficavano la droga portata da noi calabresi . I guadagni erano elevatissimi e venivano investiti in acquisto di immobili”. Ha vinto la mafia, hanno vinto il senatore Fazzone, il sindaco e gli assessori compiacenti. Tutto rimane come prima a Fondi.
di Enrico Fierro
da Il Fatto Quotidiano
10 ottobre 2009

venerdì 9 ottobre 2009

MESSINA, IL COMUNE CON UN ‘BUCO’ DA 500 MILIONI DI EURO

IL SINDACO BUZZANCA E IL SISTEMA DI CLIENTELE CHE MANGIA SOLDI PUBBLICI LASCIANDO LA CITTA’ IN BANCAROTTA

Alza la voce Peppino Buzzanca. “La vittime di Messina non sono di serie b”. vuole funerali di Stato e li ottiene. Sabato lutto nazionale. E così i morti di Giampilieri saranno finalmente onorati e riceveranno quelle attenzioni che non hanno avuto da vivi. Quando la politica pensava ad altro. Non ai soldi da spendere per mettere in sicurezza il borgo dopo l’alluvione del 2007, ma alla gestione del potere. Che qui è granitico, immutabile e si trasmette per eredità familiare. E’ finita la Prima Repubblica, sono scomparsi i vecchi partiti, ma le grandi famiglie politiche, quelle che hanno governato ai tempi della Dc e del Psi, dominano ancora. La città “è uno stagno in cui non vi è alcun alito di vento che agiti le acque”. Analisi tristissima e desolante quella del magistrato Giusto Sciacchitano. Fa da filo conduttore del libro inchiesta Messina capitale d’Italia di Roberto Gugliotta e Gianfranco Pensavalli. Qui, più che in qualsiasi altro luogo d’Italia, la politica non ha remore nella gestione del potere. Il Comune ha un deficit di 500 milioni di euro. La bancarotta è vicina. Eppure il sindaco Buzzanca arricchisce il pool di avvocati a sua disposizione di sette legali. Da otto a quindici per una spesa di 270.000 euro l’anno. Nell’elenco un ex parlamentare di Forza Italia, Anonino Gazzara, Mariangela Ferrara, cognata di Rocco Crimi, sottosegretario allo Sport, e Giulia Carrara, la sorella di Nuccio, un ex senatore di An. Il manuale Cencelli domina e detta le regole per la spartizione di enti, partecipate, società miste, ospedali. La Corte dei Conti ha analizzato i bilanci delle Aziende sanitarie siciliane del 2008. Il deficit è di 331 milioni di euro, l’azienda che si piazza al secondo posto del grande scialo (al primo c’è Catania) è quella di Messina: un buco di 62 milioni. A dirigerla Salvatore Furnari, un uomo di Rocco Crimi, il potentissimo sottosegretario allo sport. Nel cda del Vittorio Emanuele, il teatro della città, siedono Daniela Faranda, cugina del deputato Pdl Nino Germanà e Gustavo Ricevuto, fratello di Nanni, il Presidente della Provincia. Tutto a loro nella città di Peppino Buzzanca, una condanna sul groppone a sei mesi per ‘peculato d’uso’ quando era Presidente della Provincia. La storia è nota e fece ridere l’Italia. Era il 1995, Buzzanca, sposato da pochi giorni decise di fare un regolare viaggio di nozze. Solo che si fece accompagnare dall’autista con l’auto blu dell’ente. Processato venne condannato e dovette dimettersi. Non poteva più fare il sindaco, nè candidarsi. Nessun problema: anche per lui il governo Berlusconi varò una leggina, decidendo per decreto che il reato andava depenalizzato e che comunque non rientrava tra le cause di ineleggibilità. La politica lo sostenne, la legge pure e i messinesi non gridarono allo scandalo. La poltrona di sindaco era nel frattempo stata occupata dal centrosinistra con Francantonio Genovese, un ricco imprenditore dalle nobili origini democristiane. Suo zio era Nino Gullotti, uno dei potenti della Dc siciliana, suo padre Luigi senatore dello scudo crociato. Ma durò poco. Nel 2006 Genovese cade, il Comune viene commissariato, pochi mesi dopo si va al voato e Buzzanca stravince. Nel piatto della ‘nuova’ Messina c’è una torta ricchissima: 247 milioni per il waterfront, 100 per il risanamento delle aree industriali dismesse. Grandi business per le solite grandi famiglie di imprenditori e costruttori. Nel frattempo il potere litiga sulle responsabilità per il disastro e i morti dell’alluvione: Nania contro Prestigiacomo e Bertolaso, il sindaco contro tutti. E i soldi per il risanamento non ci sono. La Regione ha chiesto un miliardo per le opere più urgenti, il ministero dell’Ambiente ha stanziato solo 106 milioni, mentre dalla Ue sono in arrivo, ma per tutte le realtà italiane, spiccioli: 50 milioni dai fondi strutturali. Messina e le sue colline fragili aspettano.
Di Enrico Fierro
Il fatto quotidiano
08.10.2009

mercoledì 7 ottobre 2009

QUEL SISTEMA DI POTERE CHE STRITOLA MESSINA NANIA, BUZZANCA & C.

Un tour in auto per Messina e ti si accappona la pelle. Uscito dalle macerie di Giampilieri, fissati gli occhi sulle case spianate e sotterrate dal fango della collina, ti si para davanti una città fragilissima. La città delle fiumare cementificate dove hanno costruito di tutto. Palazzi e scuole. E dei monti che da anni nessuno cura e difende, pronti a vendicarsi, a diventare un giorno bombe di fango. La città del Grande Terremoto. Che cent’anni fa uccise e distrusse. Ma che cent’anni dopo non è stato capace di insegnare granché ai messinesi e ai loro amministratori. Basta vedere i palazzi costruiti sulle colline, nove, dieci piani per ammirare uno dei panorami più belli d’Italia. Per questo la chiamano la Panoramica la circonvallazione che dall’Annunziata porta fino a Capo Pellaro. Nessuna via di fuga.
Si vede lo Stretto e Reggio e nelle giornate di sole limpido anche il lungomare dall’altra parte. Ma solo per chi abita negli attici o negli appartamenti degli ultimi piani, case, palazzi, strade strette. Nessuna via di fuga nel caso in cui il sisma dovesse decidere di ripresentarsi cent’anni dopo. Hanno fatto di tutto a questa città. Lo dicono gli ambientalisti, i comitati che si battono contro il Ponte sullo Stretto, lo documentano, articolo dopo articolo, i giornalisti del settimanale CENTONOVE. Pazzi, gente che parla tanto per dire. Che non ha capito che la regola a Messina è “cummigghiari”. Nascondere. Qui il potere ha mille facce.
I padroni dello stretto.
Quella ufficiale della politica e quella nascosta delle logge massoniche. Quella onnipresente e bipartisan dei Franza e dei Genovese. I padroni dello Stretto, e quella dei baronati universitari, delle magistrature e delle burocrazie. Domenico Nania, uomo forte di An, oggi ras in crisi del Pdl siciliano; Peppino Buzzanca, una volta di An pure lui, il sindaco della città; Rocco Crimi, sottosegretario allo Sport; Formica, vicepresidente dell’Assemblea regionale siciliana. Sono i rappresentanti del potere politico. Una volta fortissimo. Decidevano a Palermo, contavano a Roma. Ora alla Regione c’è Raffaele Lombardo che toglie spazi. Il Pdl siciliano è un campo di battaglia con gli uomini del sottosegretario Gianfranco Miccichè e i supporters del Presidente del Senato Renato Schifani che si combattono all’arma bianca. A Roma e a Palermo si conta se si controllano i consigli comunali. E i Piani regolatori della città. Quello di Messina lo stanno demolendo a colpi di varianti, correzione, piani di quadro. Stanno toccando tutto ma non la previsione di crescita della città 550mila abitanti, così c’era scritto negli studi e nelle tabelle quando fu partorito, i primi anni Novanta. Perchè questo è il miglior modo per costruire dovunque. E forse ha ragione Antonio Martino, l’ex ministro della Difesa, messinese doc e tra i fondatori di Forza Italia. Intervistato dal Corriere della Sera dopo la tragedia di Giampilieri, ha detto che una buona parte dell’edilizia di Messina è in regola, certo, ma solo sulla carta. Basta continuare il tour per vedere e capire. Viale Boccetta, qui c’è l’ingresso dell’autostrada. Una ditta di costruzione ha demolito una parte della suola di fondazione della spalla del viadotto per costruire un passo carrabile. Serviva al passaggio dei camion e delle betoniere per il cantiere di un residence. Sette indagati. Una telenovela di ricorsi, opposizioni burocratiche. Querele e denunce. Ma giocando con le carte si può fare il miracolo di trasformare le zone verdi, destinate a rimanere tali, in estese aree edificabili.
Verde cementificato.
Dietro il liceo “Archimede” è stato costruito un palazzone di sei piani, compresi interrati e portici. Per le “carte” del vecchio Prg quell’area era destinata a verde pubblico. Non è andata così. Se poi si leggono i nomi dei soci della Coim, la società che ha tirato su il palazzo, si capiscono tante cose sul rapporto tra politica e affari in questa città. Un avvocato donna che fa parte del collegio di difesa del Comune, ovviamente nominata dal sindaco Peppino Buzzanca, sposata con Giovanni Crimi, fratello del sottosegretario allo Sport Rocco, uno dei potenti della città. E un’altra donna moglie del progettista del complesso e membro della commissione edilizia comunale. Piccole cose, se si vuole, rispetto ai grandi affari della città. Gianfranco Scoglio, Pdl, è l’Assessore comunale ai lavori pubblici. E’ raggiante, perchè due giorni fa, in un clima rigorosamente bipartisan, è stato approvato il piano triennale per le opere pubbliche. Il Pd aveva presentato 300 emendamenti, li ha ritirati dopo la tragedia di questi giorni. Si costruiranno parcheggi, strade, si metterà mano alla mobilità sul territorio. Ma il grande affare è la trasformazione del Tirone, uno degli ultimi borghi pre-terremoto. Un’area da risanare e da restituire alla città. Ci sono già i deplianti con le foto e i diagrammi che mostrano il futuro della zona. Edilizia residenziale, palazzi da 9 a 15 piani. Cemento. Politica e piani regolatori. Se a Messina funziona così. A Scaletta, uno dei paesi dell’alluvione, il potere si tramanda di padre in figlio. Oggi Mario Briguglio inveisce contro chi individua nella speculazione edilizia incontrollata una delle cause della tragedia. Ieri il papà, collocatore comunale di antica fede democristiana, costruiva il potere della famiglia.

Enrico Fierro
Il Fatto Quotidiano
07.10.2009